Argentina: lo spiraglio di luce è ancora lontano

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Ralf Steinberger, Flickr, creative commons

L’Argentina sta attraversando una pesante crisi finanziaria che sta mettendo in ginocchio il Paese. Nonostante le innumerevoli sfide da affrontare, i rendimenti estremamente elevati, l’intervento risolutivo da parte della Banca centrale e il coinvolgimento del FMI, lasciano intendere a dei segnali positivi per il medio termine.

Mike Biggs, investment manager delle strategie obbligazionarie Local Emerging Market di GAM Investments, ha dichiarato che “l’inflazione potrebbe aumentare sulla scia dell’indebolimento della valuta, ma la Banca centrale ha risposto in modo drastico e, di recente, ha alzato il tasso d’interesse al 60%. I tassi d’interesse reali sono oggi fortemente positivi rispetto a qualsiasi parametro. Anche a fronte di un eventuale rialzo dell’inflazione al 45%, i tassi reali sarebbero attestati al 15%. Inoltre, il governo di Buenos Aires si è assicurato un prestito da 50 miliardi di dollari dal FMI che, inizialmente, avrebbe dovuto essere erogato nell’arco di tre anni, ma il FMI ha tuttavia acconsentito a rivederne la tempistica per collaborare al piano di rilancio economico del Paese. La drastica risposta delle autorità monetarie è stata necessaria, ma riteniamo anche abbia determinato il netto crollo della crescita del PIL. La nostra aspettativa di base vede una netta diminuzione della bilancia commerciale argentina (sullo sfondo della crescita debole), un deterioramento fiscale limitato e un’attenuazione dei rischi negativi dovuti alla debolezza della crescita, grazie al supporto del FMI. Se il peso argentino dovesse mostrare segnali di stabilizzazione, questi rendimenti risulterebbero estremamente appetibili per il mercato e gli afflussi di capitali dovrebbero agevolmente finanziare il deficit (in calo) delle partite correnti", spiega Biggs.

“I rischi non sono però assenti dallo scenario: il primo è rappresentato da un continuo indebolimento della valuta nel breve periodo malgrado i rendimenti elevati e l’aiuto del FMI. Le misure in vigore oggi e la risposta ortodossa di politica monetaria dovrebbero scongiurarlo, ma sussistono incertezze sulle prospettive di breve termine. Il secondo rischio, più importante, è la possibilità che le misure introdotte per contenere il deterioramento esercitino pressioni politiche sul governo uscente prima delle elezioni dell’ottobre 2019. Se si arrivasse a prevedere la vittoria di un governo più populista, l’assetto di politica economico-monetaria potrebbe essere a rischio. In uno scenario di questo tipo, persino le valutazioni attuali potrebbero non essere sufficienti a proteggere gli investitori da una perdita”, conclude l’esperto.

John Greenwood, capo economista di Invesco, spiega le origini delle crisi finanziarie nei Paesi emergenti. “Le crisi sono tutte causate da una spesa eccessiva rispetto alle capacità delle rispettive economie. La spesa può essere generata dal governo, così come in Argentina e in Venezuela, o dal settore privato. In entrambi i casi, si mostra tramite un rapido aumento del denaro in circolazione. In Argentina, infatti, l’aggregato M3 in valuta locale è cresciuto del 34% da inizio anno a giugno, e in media dal 2014 del 33% all’anno. Ovviamente, un’eccessiva crescita della moneta produce altri sintomi: deficit contabili, inflazione in aumento e indebolimento valutario”, spiega l’economista.

“Inoltre, le crisi dei Paesi emergenti tendono a crearsi durante un periodo di calma o di condizioni creditizie favorevoli nelle economie sviluppate. La nascita delle problematiche attuali è stata mascherata dall’aumento del valore dei titoli negli Stati Uniti, Asia orientale e altri Paesi emergenti nel 2017. I bassi tassi d’interesse negli Stati Uniti, Europa e Giappone hanno incoraggiato Argentina e Turchia a prendere in prestito valute straniere. Fintanto che i flussi giungono, gli investitori rimangono calmi ma, prima o poi, i sintomi della crescita eccessiva di denaro si palesano. Appena qualcuno suona il campanello d'allarme, gli investitori corrono al riparo. Ciò comporta il crollo dei prezzi delle azioni, il deprezzamento della valuta e l’impennata dell’inflazione. Dunque, evitare il contagio dipenderà principalmente dalla gestione del sistema monetario”, conclude l'esperto.