Tutti i risvolti dei PIR secondo gli asset manager italiani (parte I)

-
Immagine Propria

Uno dei fattori che ha certamente contribuito al rally registrato dalle small e mid cap italiane, nei primi mesi dell’anno, è stato il lancio dei nuovi piani individuali di risparmio (PIR), arrivati in contemporanea ad una riduzione del rischio politico in Italia, e al successo dell’aumento di capitale di UniCredit. Gli asset manager italiani puntano molto sulla nuova tipologia di investimento, essendo questa da supporto all’economia domestica, incentivando l’investimento nelle PMI di casa nostra, ma anche soddisfacendo delle esigenze fiscali fondamentali per gli investitori italiani. A spiegarlo alla tavola rotonda organizzata da Funds People, sono dei manager di punta di alcune delle più importanti realtà italiane del risparmio gestito.

I PIR stanno aiutando l’economia italiana a livello strutturale, dove l’idea di base è quella di far sì che arrivino dei flussi in modo stabile sul mercato italiano. Per Nicola Trivelli, CEO e direttore investimenti di Sella Gestioni SGR, questo è un fattore decisamente importante, che elimina una delle maggiori difficoltà che ha avuto il nostro Paese nei vari anni, ovvero quando si registra un momento di particolare interesse per l’Italia, gli investitori internazionali investono con volumi importanti, entrando e uscendo dal mercato molto velocemente, contribuendo quindi ad una forte volatilità. “In questi mesi, con effetto anticipazione, abbiamo visto importanti investimenti sull’Italia, data l’aspettativa dei PIR, dove, in questa fase, alcune società sono diventate sicuramente più care in termini di valutazioni, ma riteniamo che, visto il contesto economico in miglioramento, l’earnings season positiva, e i flussi che dovrebbero arrivare in modo più stabile nel tempo, questo sia un fattore che si potrebbe riassorbire, e che potrebbe quindi rappresentare un rischio non particolarmente elevato”, afferma Trivelli.

Teoricamente, i PIR richiamano il concetto di politica economica del risparmio dei mini bond, lanciati con il decreto sviluppo del 2012, indirizzando il risparmio privato al settore delle imprese attraverso il canale del gestito. Filippo Di Naro, vice direttore generale investimenti e prodotti di Anima SGR, spiega la differenza tra le due tipologie di prodotto, dove, “rispetto ai mini bond, il cui sviluppo ha risentito di alcuni elementi di debolezza specifici, il canale dei PIR è stato sollecitato da agevolazioni di natura fiscale, visto che partono fin da subito da un universo investibile molto più ampio, tant’è che, da qualche mese, nelle mid e small cap italiane, le valutazioni sono salite a livelli in alcuni casi elevati, anticipando l’arrivo di flussi reali. È cioè un movimento che il mercato ha effettuato aspettandosi dei movimenti importanti da parte dei risparmiatori, perché lo strumento è sicuramente molto interessante”, spiega il manager.

La normativa PIR, oltre ad aiutare il processo di transizione verso un portafoglio più equilibrato per gli italiani, e quindi verso un modo più corretto di investire, pone in parte rimedio anche a un’esigenza fiscale che è fondamentale in Italia; si cerca quindi di fare un passo verso un modello di riequilibrio fiscale sulla tassazione dei proventi da capitale, pur senza intaccare la capacità dello Stato di raccogliere risorse. Tuttavia, i PIR possono anche essere importanti lato educational. Roberto Brasca, vice presidente e responsabile azionario di AcomeA SGR, ne è fermamente convinto, perché, a suo parere, il risparmiatore italiano pensa alla borsa come un posto dove posizionare il proprio capitale per poi ritirarlo nel brevissimo termine, magari guadagnandoci qualche performance, mentre dovrebbe invece avere una visione che gli permetta di investire in un’attività economica che possa rendere di più rispetto ad un’obbligazione di Stato, nel tempo. “Questo è concettualmente inconsistente, e penalizza sia il risparmiatore che il sistema Italia. Se si compra un’azione, si compra una quota di una azienda, e non si dovrebbe vendere dopo dieci giorni, questo non avrebbe senso. Se si investe in azioni, occorre accompagnare l’azienda nel suo percorso economico, in un’ottica di investimento, nonostante gli shock del mercato, o i momenti negativi”, spiega Brasca.

Per Alessandro Negri, responsabile commerciale di Symphonia SGR, risulta evidente che i PIR siano stati introdotti in Italia non solo per evitare il pagamento del capital gain ai risparmiatori, ma piuttosto per stimolare un certo tessuto imprenditoriale e portarlo eventualmente alla quotazione, ampliando quindi il bacino dei possibili investimenti quotati. In questo senso, il manager mette al centro del tema PIR il grande valore delle imprese italiane, sostenendo che, “sicuramente l’Italia ha corso tanto negli ultimi mesi, ma, almeno per quanto riguarda le mid-small cap, siamo ancora in una fase di crescita sostenibile, soprattutto perché non è stata indotta soltanto dai flussi legati all’introduzione dei PIR degli ultimi sei mesi, ma è frutto di una crescita costante negli ultimi anni dettata dal grande valore del tessuto PMI italiano”.

Anche Negri associa inevitabilmente questo strumento all’educational dell’investitore italiano, dato che rappresenta un forte incentivo per il tramite dei benefici fiscali legati alla detenzione minima di cinque anni, a mantenere stabile il proprio portafoglio secondo un congruo orizzonte temporale dettato dalla tipologia degli investimenti, nonché contribuirà a ridurre quei cambi repentini di asset allocation dettati da paure irrazionali che storicamente fanno del market timing uno dei maggiori dettatori di performance.

Su questo tema, gli fa eco Fabrizio Fiocchi, responsabile Sviluppo Prodotti e Servizi di Advisory per Eurizon Capital SGR, che aggiunge, “stiamo assistendo a dei cambi generazionali che avranno un forte impatto sulle modalità di investimento dei risparmi. Le nuove generazioni avranno bisogno di risorse per mantenere il loro tenore di vita e useranno i patrimoni lasciati dalle precedenti. Come industria, abbiamo il compito di soddisfare i “nuovi” bisogni del risparmio, in un ambiente meno propenso a fornire forme di investimento semplici e remunerative”, conclude Fiocchi.