La svalutazione operata da Pechino negli ultimi giorni ha scatenato un acceso dibattito sulle motivazioni alla sua base. Una possibile interpretazione lega gli interventi di questa settimana a considerazioni politiche, con la Cina che cercherebbe di far sì che il tasso di cambio sia maggiormente guidato dal mercato, elemento che permetterebbe di ottenere l’ammissione dello yuan nel basket dei Diritti Speciali di Prelievo (SDR) del Fondo Monetario Internazionale.
Nonostante ciò, i mercati si sono concentrati sulla possibilità di ulteriori forti cali dello yuan…
Sì. Siamo d’altronde consapevoli che il cambiamento della politica monetaria cinese potrebbe anche indicare fondamentali più deboli e un peggioramento dello stato di salute dell’economia. Il rallentamento della crescita del PIL è testimoniato anche dai segnali ricevuti dalle imprese, che suggeriscono una contrazione considerevole dei dati commerciali, con i livelli delle esportazioni e delle importazioni significativamente più bassi. Di conseguenza, il premio per il rischio globale dovrebbe essere rivisto al rialzo, in linea con una crescita globale più debole. Potremmo assistere a un’accelerazione delle tensioni dei mercati emergenti, che probabilmente continueranno ad avere un impatto negativo sui prezzi delle materie prime e dell’energia.
C’è un rischio di pressioni deflattive?
Certo che sì. Queste sono evidenti anche dai più bassi prezzi alla produzione in Cina, attualmente in calo del 5% anno su anno. Il contagio ai mercati emergenti, la guerra valutaria e le potenziali conseguenze sull’area dell’Asia Pacifico rappresentano un rischio più ampio per l’azionario europeo. Non possiamo escludere un periodo più lungo di svalutazioni competitive, poiché l’idea generale è che lo yuan sia sottovalutato del 5-10% rispetto al dollaro, anche se il gap è molto più significativo rispetto ad altre valute di mercati emergenti.
E sul fronte europeo?
Un altro scenario è che la pressione deflattiva importata nell’Eurozona e nel Regno Unito potrebbe spingere la BCE a estendere la sua politica di allentamento monetario: ciò sarebbe probabilmente positivo per il sentiment circa l’azionario dell’area euro. Inoltre, il rischio di una svalutazione estrema sarebbe cancellato, se l’intenzione delle autorità cinesi si rivelasse solo quella di creare un tasso di cambio più flessibile.
L’esposizione dell’Eurozona alla Cina è moderata?
Circa il 6% delle esportazioni totale dell’Eurozona sono dirette alla Cina, mentre circa il 10% delle importazioni provengono dal gigante asiatico (fonte: Citibank). Sebbene tali percentuali non siano trascurabili, il livello generale è abbastanza moderato e sottolinea come il commercio interno all’area euro sia molto più importante per il PIL dell’Eurozona. Ulteriori svalutazioni sarebbero un ostacolo per il potere di determinazione del prezzo delle esportazioni, ma importazioni più economiche potrebbero controbilanciare questo effetto e dare sostegno ai consumi nell’area euro. Inoltre, dobbiamo assicurarci di mantenere una prospettiva sulla svalutazione cinese. Data la debolezza dell’euro contro il dollaro nell’ultimo anno, la moneta unica si è deprezzata di circa il 2% rispetto allo yuan negli ultimi 12 mesi e di circa il 9% negli ultimi due anni. Di conseguenza, le società esportatrici dell’Eurozona godono comunque di una spinta positiva sul fronte valutario, agli attuali livelli.
E per quanto riguarda l’esposizione azionaria dell’Eurozona?
Non sono disponibili dati dettagliati. Si stima che circa il 12% delle vendite ponderate per la capitalizzazione di mercato (riferite alle società dell’Eurostoxx 50) siano dirette alla regione Asia Pacifico, con solo il 2% di esse indirizzate direttamente alla Cina. Va notato che queste cifre includono solo le vendite dirette e non riflettono pienamente il valore aggiunto delle vendite interne all’Eurozona che potrebbero poi diventare esportazioni verso la Cina. Tuttavia, possiamo stimare che l’esposizione degli utili societari sia a un livello lievemente più alto (circa al 6%). Di nuovo, ciò dimostra la dipendenza dal commercio locale europeo (59% circa). Per questo, ci aspettiamo un impatto solo moderato dalle oscillazioni dei tassi di cambio sui mercati dell’Eurozona.
Quali sono i settori più colpiti?
Nel mercato dell’Eurozona ci sono alcuni settori e società che hanno un’esposizione significativa alla Cina. Tra questi, i beni di lusso, il settore tecnologico, dell’automotive, dei beni strumentali e dei materiali (in particolare settore minerario e chimico). Per questi comparti, i profitti convertiti in euro saranno colpiti, ma è anche possibile che emergano degli svantaggi competitivi sulle transazioni, a causa di una competizione rivitalizzata – ciò è quello che potrebbe accadere ad alcune società industriali e chimiche che devono affrontare una forte competizione cinese. Sebbene ci sia una forte dispersione tra le società dell’Eurozona, ci sono molti settori domestici che hanno, per definizione, un’esposizione nulla o limitata alla Cina, come il settore bancario, assicurativo, dei viaggi, dei media, delle utility e dei servizi di telecomunicazione, per citarne alcuni.
Quali titoli preferire?
Per quanto riguarda il nostro posizionamento, abbiamo una preferenza netta per i titoli esposti all’Eurozona, inclusi quelli del settore bancario, in cui lo slancio sta migliorando grazie alla ripresa economica. Nel frattempo, la resistenza dei consumatori nell’Eurozona è ben supportata dagli stimoli offerti dai tassi di interesse bassi o negativi, dal basso prezzo del petrolio, dal crescente impulso del credito bancario e dalla domanda ancora inespressa legata alla ripresa dell’Europa periferica. Al contrario, abbiamo un’esposizione limitata ai beni del lusso e al settore automotive, che dovrebbe rivelarsi un beneficio se questi comparti continueranno a essere in ritardo rispetto al mercato.