"Basta col feticismo della crescita". Parola di Stiglitz

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È il guru delle lotta alle diseguaglianze. Critico con le politiche di austerity e preoccupato per i rischi del futuro: oggi ricchezza e risparmio derivano da una corsa al rialzo del valore degli asset invece che da investimenti produttivi. Alla quinta edizione del Lugano Fund Forum 2015 Joseph Stiglitz dà un tono ai lavori del meeting dedicato all'asset management italiano e svizzero. Classe '43, economista della Columbia University, premio Nobel 2001, si rivolge alla platea con una premessa: "Non sarò così entusiasta come vogliono le previsioni". Secondo Stiglitz "il 2015 è uno degli anni più deboli rspetto ai decenni passati, e anche se le previsioni dicono che il 2016 sarà migliore, credo che il prossimo anno l'economia sarà ancora debole". E giù tutta una carrellata, supportata da slide, di problemi che hanno inficiato l'economia globale: il rallentamento cinese, quello dell'America Latina e del Sud Africa, soprattutto in materia di commodities. "I tempi sono incerti". Senza contare poi l'Europa: "Ci sono ancora delle debolezze, bisogna uscire da questa sorta di feticismo della crescita", incalza. E continua: "La crisi europea continuerà se non cambiano le politiche dell'Eurozona". Poi sotto la lente d'ingradimento dell'economista arrivano anche gli Stati Uniti: "i dati dicono che vanno bene, ma solo in confronto a quanto stanno male gli altri Paesi. Non possiamo dire che la crescita americana sia un successo. Il tasso di disoccupazione, attestato al 5%, non è quello reale. La partecipazione della forza lavoro in Usa è molto bassa, una delle più basse da decenni: tra chi lavora un'ora a settimana e chi ha rinunciato a trovare un impiego dobbiamo alzare l'asticella almeno al 12%". Senza contare il trilione di dollari che con la crisi è andato in fumo e non si è riusciti più a recuperare. 

Fine della domanda aggregata globale?

Secondo il premio Nobel uno dei problemi più gravi è la mancanza di domanda aggregata mondiale: la diseguaglianza è in crescita e questo comporta una domanda generale sempre più in calo. "I mercati da soli non riescono a gestire bene le trasformazioni e oggi ci troviamo di fronte ad una di queste". Come lo spostamento della produttività dal settore manifatturiero a quello dei servizi. Un altro aspetto sono gli squilibri mondiali: succede quando alcuni Paesi esportano più di quanto importano, proprio per mancanza di domanda interna. "Oggi la fonte principale di questi squilibri è proprio l'Europa", afferma Stiglitz. 

Secondo l'economista poi c'è qualche problema anche sui mercati finanziari: "La maggior parte degli investimenti sono a lungo termine  ma ci sono mercati finanziari miopi che operano a breve termine, che misurano le perfomance trimestralmente. I mercati finanziari devono svolgere da intermediazione, devono avere un ruolo sociale". 

Rimedi? Questione di scelte

La ricetta per crescere più velocemente e uscire da questa "sensazione di performance mediocre" è molto lunga da seguire: Stiglitz chiama in causa i governi dato che "il mercato da solo non risolve i problemi". Bisogna ridurre la diseguaglianza, facilitare la trasformazione strutturale in Paesi come la Cina, applicare delle riforme globali, cosa ancora più difficile per mancanza di coesione. Poi creare un nuovo sistema di riserva globale: "il dollaro è un sistema arcaico", dice l'economista, "risale all'inizio del XX secolo e nel frattempo il mondo è cambiato". Bisogna anche diminuire globalmente il deficit e trovare modi migliori per riciclare gli avanzi. "In generale potremmo migliorare la domanda globale ma ci sono degli impedimenti", continua Stiglitz, "come la mancanza di un quadro internazionale per la ristrutturazione del debito o per gli investimenti diretti esteri e un regime fiscale serio per le multinazionali" (vedi alla voce Apple).  

Un problema importante infine è il cambiamento climatico. "Uno dei modi migliori per aiutare l'economia sarebbe proprio quello di investire sul clima, perché il clima e la crescita si compensano tra di loro. Basterebbe cominciare ad esempio col definire un prezzo al carbonio". Insomma "la stagnazione economica che viviamo non è una malattia", ribadisce Stiglitz.  "È una questione di scelte, il risultato delle politiche che adottiamo. Abbiamo preso una serie di decisioni in Europa e l'eredità di questa crisi rimarrà con noi a lungo tempo, se non facciamo niente. Dobbiamo cambiare corso: non c'è a rischio solo l'Europa di oggi ma anche l'Europa del domani".