L'euro forte che preoccupa la BCE

Draghi_Funds_People
European Central Bank, Flickr, Creative Commons

Avanti a tutta dritta. Quello che vien fuori dalla prima riunione dell’anno della Banca centrale europea è stato piuttosto chiaro per tutti: la rotta è immutata, i tassi restano fermi allo zero e il Qe andrà avanti fino al prossimo autunno, così come da navigazione. Anzi se necessario, ha ribadito Mario Draghi, il programma di acquisto dei titoli, al ritmo di 30 miliardi al mese, potrebbe perfino prolungarsi. Nemmeno pochi minuti dopo l’euro ha superato la soglia psicologia di 1,25 nei confronti del dollaro, raggiungendo il picco massimo da dicembre 2014. D’altronde la BCE appare preoccupata rispetto alla volatilità che porta ventate d’incertezza, ma non solo. Come ha detto lo stesso presidente Draghi a preoccupare sono soprattutto dei messaggi fuorviati di “qualcun altro”, a non voler esplicitamente dire dell’amministrazione targata Donald Trump. Draghi probabilmente faceva riferimento alle parole del segretario al Tesoro degli Stati Uniti Steve Mnuchin, a Davos, secondo cui un dollaro debole è positivo per gli USA. 

Rosa Quahba, responsabile del fixed income in Carmignac, anticipava nell'evento annuale della società a Parigi, che Draghi avrebbe "ridotto le aspettative del mercato, dal momento che un euro forte funziona come un inasprimento de facto della politica monetaria". Secondo Ouahba la BCE risponderà nei prossimi mesi con una forward guidance maggiore, in particolare "con un possibile cambiamento nel linguaggio utilizzato nella riunione di marzo", data in cui è prevista la revisione delle previsioni dell'istituzione sulla crescita e inflazione. In questo contesto “il principale compito di Draghi era quello di contenere un pò il rally dell'euro”, spiega James Athey, senior investment manager di Aberdeen Standard Investments. “Ma questo obiettivo non è stato centrato poichè l'esercito dei rialzisti sull’euro, in attesa di un segnale per comprare a prezzi più bassi, non ne ha ricevuto alcuno. Al contrario, il cambio euro/dollaro ha rotto il livello 1,25 e ancora non mostra alcun segnale di rallentamento nella sua inesorabile ascesa”.

Anche per Marco Palacino  in questo momento il rapporto euro/dollaro sembra cruciale: “l’euro forte e la volatilità dei cambi rappresentano il principale fattore di preoccupazione e incertezza citato da Draghi”, spiega il managing director per l’Italia di BNY Mellon IM. “Ma evidentemente i mercati temevano l’annuncio di un più deciso impegno a indebolire la moneta unica, tant’è che, sulla scia del meeting di ieri, l’euro si è rafforzato ancora - almeno nell’immediato”.  Ad ogni modo, come dice Timothy Graf, responsabile macro strategy per l’area EMEA di State Street Global Markets, il presidente Draghi è stato comunque abbastanza bravo a non reagire alla forza della moneta e a far contenti i sostenitori di un euro rialzista. “Sembra che la Banca Centrale, fin quando il livello di apprezzamento resta contenuto, voglia godersi la forza dell’euro originata dal successo della sua politica monetaria accomodante. Coloro che ritengono che l’euro sia salito un po’ troppo e troppo in fretta non dovrebbero essere troppo scontenti. Inoltre, è anche apparso chiaro che la BCE sarà più lenta nel ridurre la sua politica accomodante e il riferimento alla volatilità dell’euro conferma una chiara propensione al consensus sull’apprezzamento dell’euro. Due indicatori di inflazione da adesso fino al meeting dell’8 marzo saranno ampiamente osservati per ricavarne degli indizi per comprendere se la riduzione del Qe possa effettivamente accelerare o meno”.

Insomma la BCE vuole vedere maggiore dinamismo nell’espansione economica e una chiara ripresa dell’inflazione prima di adottare un atteggiamento da falco e cambiare rotta. Per adesso, perciò continua ancora ad acquistare bond, anche se in minor quantità. Secondo Palacino - che si aspetta che i tassi resteranno invariati per l’intero 2018, con un primo rialzo probabilmente non prima del 2019 – “inflazione bassa con un aumento graduale nel medio termine verso l’obiettivo del 2%, espansione economica generalizzata e buona trasmissione delle politiche monetarie verso l’economia reale sono i commenti rilasciati da Draghi che tracciano un quadro quasi ideale per la prosecuzione, senza scossoni, del graduale processo di normalizzazione delle politiche monetarie. Gli investitori, adesso, tornano ad attendere gli esiti delle elezioni in Italia, ma senza restare certo col fiato sospeso, rassicurati dai dati economici complessivi e dalla prevedibilità degli sviluppi monetari. Spetterà probabilmente alla Brexit e alle elezioni di midterm negli Stati Uniti dimostrare se il rischio politico possa ancora influenzare i corsi dei mercati finanziari o meno”.