Brexit, cosa ci dicono i mercati?

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foto: D Smith, Flickr, Creative Commons

Il rischio Brexit sarà il maggior evento politico dell'anno nell'Eurozona? Il livello d'incertezza è molto alto per poter dare risposte, ma di certo sempre più analisti prestano attenzione alla campagna attorno al referendum sulla permanenza o meno del Regno Unito nell'Unione Europa. Moody’s ha detto che il Regno Unito potrebbe evitare un abbassamento del rating, mentre S&P ha ribadito che la tripla AAA potrebbe venire messa in discussione in caso di Brexit. Anche Fitch ha reso pubblica una dichiarazione che sottolinea i rischi a lungo termine nel caso che vinca il "sì" durante la votazione del prossimo 23 giugno. Senza contare poi l'ultima decisione arrivata, non senza le critiche annesse, dalla Banca d'Inghilterra: mettere a disposizione delle banche miliardi di sterline per contrastare un'eventuale corsa agli sportelli.  In audizione al Treasury committee lo stesso governatore della BoE Mark Carney ha riconosciuto che l’addio a Bruxelles creerebbe instabilità finanziaria, che l’impatto sulla City sarebbe inevitabile, che banche e istituzioni internazionali stanno già facendo progetti per un possibile trasloco fuori dalla Gran Bretagna. Destinazione preferita: Irlanda.

Secondo Andrea Brasili e Cosimo Marasciulo di Pioneer Investmets le possibili implicazioni della Brexit sugli investimenti produrrebbero conseguenze negative per le imprese britanniche e per l'economia del Regno Unito: "Le decisioni di investimento resterebbero in sospeso, la sterlina probabilmente si svaluterebbe e gli investimenti esteri nel Paese sarebbero a rischio. Sui mercati del credito prevediamo un moderato ampliamento degli spread, trainato principalmente dagli emittenti britannici ma anche dai Paesi periferici (Italia e Spagna), quando si inizierà a valutare le possibile implicazioni di una rottura con l'Ue". "Gli spread delle banche britanniche si sono già ampliati rispetto agli altri istituti" sottolineano i due esperti. Anche il team gestionale di Anima SGR ritiene che un’eventuale uscita del Regno Unito indebolirebbe il quadro europeo nel suo complesso. "L’unica strada per una prosperità di lungo termine consiste del resto nel rafforzare i legami all’interno dell’Europa in direzione di una più stretta unione politica ed economica; tutti i meccanismi che lavorano al contrario sono forieri di indebolimento a medio-lungo termine", fanno sapere dalla società di gestione.

E se invece non cambiasse poi così tanto? A farsi la domanda sono i gestori di AcomeA, che al di là dei sondaggi, si soffermano sulle conseguenze per i mercati e per le loro scelte di portafoglio. "Quello che abbiamo assistito, a livello di portafoglio, è stata una graduale svalutazione della sterlina, penalizzata da aspettative di una politica della Banca Centrale Inglese ancora più accomodante rispetto a quella attuale, in risposta a prospettive di crescita in peggioramento. È chiaro che in una situazione di continua svalutazione della sterlina, i titoli che operano esclusivamente nel mercato UK risultano penalizzati rispetto a quelli che hanno una forte componente globale. D’altro canto bisogna osservare come nella fase attuale, caratterizzata da una elevata volatilità, l’incertezza generata dalle probabilità o meno del verificarsi del Brexit, contribuisca difatti a minare la già debole fiducia degli investitori, aggiungendo un ulteriore elemento di confusione sui mercati". E per questo che i fondi azionari della SGR tengono una bassa esposizione sul mercato inglese, ma non per le conseguenze del refernedum, quanto per valutazioni che scontano prospettiva di crescite sostenibili. "Di recente abbiamo, pur in maniera marginale, incrementato l’esposizione verso i titoli del settore petrolifero e delle materie prime presenti nel mercato UK", spiegano a riguardo. 

Come stanno reagendo le singole asset class?

A fare un'analisi nel dettaglio sulla reazione attuale dei mercati ci pensa Roberto Rossignoli, junior portfolio manager di Moneyfarm. La reazione del mercato azionario, secondo l'esperto, per ora è stata relativamente buona, con il FTSE 100  tra i migliori indici da inizio anno (-1.4% in valuta locale). "Se confrontiamo la volatilità implicita storica del FTSE 100 contro quella dell’EuroStoxx notiamo che l’attuale valore (in rosso nel Grafico 1) della volatilità Implicita delle azioni inglesi è addirittura leggermente sotto il livello che sarebbe “normale” attendersi, data l’attuale volatilità delle azioni europee. Attualmente, se guardiamo anche alla differenza tra le due volatilità, non sembra esserci una forte tendenza all’allargamento.  Notiamo anche che il FTSE 250 nell’ultimo mese continua a sovraperformare il FTSE 100. Lato equity, per ora il Brexit premium sembra relativamente piccolo".

Movimenti interessanti invece si osservano sul credito inglese. "Se guardiamo alla differenza tra gli Asset Swap Spread (che catturano la rischiosità delle obbligazioni, andando a misurare la differenza tra il rendimento di quest’ultime e la curva dei tassi interbancari LIBOR) e tra gli Option Adjusted Spread (che misurano la rischiosità delle obbligazioni misurando la differenza contro la curva dei tassi governativi della rispettiva area geografica) di indici di obbligazioni Investment Grade (IG) e ad alto rendimento (High Yield, HY), possiamo vedere come il credito inglese stia prezzando in maniera decisamente maggiore il rischio Brexit", spiega Rossignoli.

Stessa considerazione per le valute: come già detto la sterlina è stata la prima e principale vittima di uno scenario Brexit. "Quello che riteniamo estremamente interessante mostrare è la conformazione assunta dalla curva della volatilità implicita sul cambio sterlina dollaro (GBPUSD). Il grafico mostra come, oltre che ad essere aumentata vertiginosamente, la volatilità implicita sul GBPUSD sia più alta se misurata per un orizzonte temporale pari a 3, 4 e 5 mesi, per poi diminuire sull’orizzonte di un anno".

"Quello che questo grafico mostra è che come ci avviciniamo alla data del referendum, il costo del coprirsi dal rischio sul tasso di cambio aumenta, e come ci sia molta più incertezza sulle scadenze a breve (5 mese) che su periodi più lunghi (un anno)", conclude l'analista.