Brexit vs Bremain, sterlina sul filo di lana

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sergio barbieri, creative commons, flickr

Il giorno è arrivato. Oggi il Regno Unito vota sul futuro non solo del Paese, ma anche dell’intera Unione europea. I mercati attendono. Ieri le borse hanno chiuso leggermente in positivo, con vaghe oscillazioni. Un evento piuttosto raro negli ultimi mesi. Soprattutto a Londra, dove ci si preoccupa a breve soprattutto della sterlina. Lo ricordava George Soros lunedì sul Guardian: la sterlina crollerà tra un 15% e un 20%, a meno di 1,15 dollari dal suo livello attuale di 1,46 dollari. In caso di Brexit, il magnate scrive che “il pound cadrà velocemente. Mi aspetto che la svalutazione sia più devastante del 15% registrato nel settembre 1992 quando ebbi la fortuna di realizzare profitti significativi per gli investitoroi del mio fondo”. Allora, in quel mercoledì nero, George Soros aveva incassato quasi un miliardo di sterline.

Che una conseguenza valutaria si dietro l’angolo lo dicono anche molti analisti. Goldman Sachs, ad esempio, ha ipotizzato un indebolimente della sterlina di oltre 10 punti percentuali. Percentuali simili a quelle prefigurate da Soros sono attese anche per gli analisti di Fxcm Italia. Se il Regno Unito oggi uscisse dall’Ue lo scenario di risk off comporterebbe “potenziali svalutazioni della sterlina contro il dollaro (e di conseguenza contro le altre valute) nell’ordine del 15-20%, con un dollaro americano che potrebbe rafforzarsi in maniera importante portando a un doppio effetto di svalutazione sul Cable (GPB/USD) con sterlina venduta e dollaro acquistato”, afferma il chief analyst Matteo Paganini.

Con uno scenario invece di Bremain “si prevedono situazioni di risk-on di breve periodo. La sterlina potrebbe proseguire con gli importanti rimbalzi già visti in queste settimane e riportarsi sopra area 1,50 con il dollaro americano venduto contro le major (euro, sterlina e dollaro australiano). Caso a parte per lo yen che potrebbe prendere il sopravvento a livello di vendite rispetto al dollaro americano perché con yen e con le vendite di biglietto verde si finanzierebbero gli acquisti di Borse che tendenzialmente potrebbero cercare di riprendere i massimi relativi (S&P 500 e Dax su tutti).

E sull’oro? Secondo Paganini se vincesse la permanenza in Europa ci troveremmo di fronte a lievi ribassi, ma non discese strutturali: “il metallo giallo potrebbe tentare delle reazioni di lieve ribasso in uno scenario di risk-on, ma non si tratterebbe di ribassi strutturali. L’area 1250 potrebbe intervenire a livello di supporti”. Se invece a invece fosse il frote separatista allora l’oro, insieme allo yen e al franco svizzero potrebbero diventare dei beni rifugio. Il metallo giallo potrebbe avere “importanti risalite sopra area 1.330 e potenziale stabilizzazione di breve periodo in area 1.330/1.340, in uno scenario di forti vendite sui listini azionari. Lo yen e il franco svizzero si andrebbero ad inserire come valute rifugio sulle quali non ci aspettiamo però particolari interventi delle rispettive Banche centrali. Uno yen che dovesse andare a rafforzarsi sotto 103.50 contro il dollaro sarebbe difficile da contenere da parte della Boj mentre un euro/franco svizzero fino a 1,0150-1,02 potrebbe essere un livello accettabile anche per l’istituto centrale svizzero”.