Cina, un’opportunità troppo grande per temere la guerra commerciale

-Mfdemeyer, Flickr, Creative Commons
Mfdemeyer, Flickr, Creative Commons

Il gigante asiatico si appresta a diventare la prima economia mondiale ed è soprattutto il luogo dove i trend di crescita si mostrano nella loro massima potenza. UBS Asset Management ha tenuto a Milano una conferenza con ospiti italiani e internazionali provenienti da tutte le divisioni della società per un confronto sulle prospettive di investimento nei mercati emergenti, con particolare focus sulla Cina, Paese in cui la compagnia ha raggiunto una posizione di leadership nelle tre aree di interesse: wealth management, asset management e investment banking. “Raccogliamo oggi i frutti di una strategie ventennale”, ha commentato Giovanni Papini, country head Italy di UBS AM in apertura dell’evento, “che ha comportato grandi investimenti e che non è affatto conclusa.” “La Cina”, prosegue, “continua a essere fondamentale sia per lo sviluppo futuro del gruppo sia da un punto di vista di opportunità di investimento”.

Il fondamentale passaggio alla domanda interna

“Nonostante il cammino di inclusione negli indici in corso”, ha spiegato sul punto Matteo Ramenghi, chief investment officer di UBS Wealth Management, “l’economia cinese rimane fortemente sottorappresentata”. Un allineamento che rischia di trasformarsi in una rincorsa poiché, ha sottolineato Ramenghi, “crescita della classe media, rivoluzione tecnologica e trend demografici fanno della Cina l’epicentro della crescita mondiale così come dei temi di investimento di lungo periodo”. Ma come si è giunti a questo scenario? Il game changer della politica economica cinese è individuato dal chief investment officer UBS Wealth Management nell’aver preso coscienza del fatto che una grande economia per continuare a crescere ha bisogno di una forte domanda interna. “Ciò che è stato compreso da Pechino e che rimane per certi versi oscuro all’Europa”, ha fatto notare, “è la necessità di diventare più simili all’economia statunitense, limitando l’impatto dell’export e concentrandolo su prodotti a valore aggiunto sempre più alto”. “Una dinamica visibile”, ha aggiunto Projit Chatterjee, senior equity specialist dell’Emerging Markets and Asia Pacific Equities di UBS AM, “anche in altri Paesi emergenti, prima di tutto in India”. “La sorgente della crescita”, ha specificato, “sta cambiando in modo generalizzato, con consumi e tecnologia che ora guidano da un punto di vista di settori l’indice MSCI Emerging Market”.

Rischio debito o rischio politico?

Cambiare il modello economico di una realtà da 1,4 miliardi di persone come la Cina non è però un’operazione semplice né priva di costi. Infrastrutture, investimenti tecnologici e inurbamento hanno comportato una crescita del debito, molto concentrato nel settore privato dove è visibile una avanzamento che si attesta nell’intorno del 10% all’anno. Secondo Matteo Ramenghi tale elemento non rappresenta un rischio nel futuro più prossimo dal momento che a sostegno dell’economia del gigante asiatico troviamo una crescita solida, che secondo le previsioni di UBS sarò ancora superiore al 6% nel 2019, ed inoltre una classe politica che ha dimostrato di essere molto rapida nello sviluppo e attuazione di politiche correttive, sia di natura monetaria che fiscale. L’elemento di incertezza più importante individuato nello scenario attuale è la politica. “Crediamo”, ha sostenuto il chief investment officer UBS Wealth Management relativamente alla ripresa della contesa con gli Stati Uniti sul commercio globale, “che ci sia un 70% di probabilità che un accordo sia preso in tempi relativamente brevi a prescindere da ciò che accadrà nelle prossime ore o giorni”. “Sebbene le conseguenze dello scenario peggiore possibile siano rilevanti”, ha specificato, “riteniamo le opportunità di lungo termine presenti in Cina e nel mercato asiatico centrali in termini di allocazione”.  Un savrappeso strutturale nei portafogli modello che non sarà dunque modificato a prescindere dal rischio protezionismo. Un fattore  fortemente sopravvalutato nella spiegazione della decelerazione cinese del 2018, secondo Banu Bewaja, deputy head Global Macro Strategy di UBS IB. “La guerra commerciale”, ha spiegato, “non si trova certamente tra le prime cinque ragioni alla base dei dati dello scorso anno”. “La prima e fondamentale”, ha precisato, “è rappresentata dalla decisione di Pechino di ridurre la leva finanziaria come tappa nel programma di transizione economica in atto”.