Questi titoli rappresentato il 28% dell'S&P 500 che è diventato più sensibile alla loro traiettoria. Ma secondo Goldman Sachs AM il crollo delle dot-com è un’altra storia.
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Negli ultimi anni i titoli dei Magnifici 7 hanno conquistato sia l’attenzione degli investitori sia la quota di mercato dell’S&P 500, trainando i rendimenti dell’indice. Tuttavia al contempo hanno suscitato preoccupazioni legate al rischio di un mercato troppo vivace e di una sovraesposizione in caso di drawdown del settore tech. “Circa il 28% della capitalizzazione di mercato dell’indice S&P 500 è rappresentata da queste sette società, ovvero una concentrazione superiore ai livelli registrati durante la bolla delle dot-com di fine anni ‘90”, fa notare John Tousley, Global Head of Market Strategy, Strategic Advisory Solutions, di Goldman Sachs Asset Management.
L’esperto ammette che l’elevata concentrazione può introdurre nuovi rischi, poiché l’indice diventa più sensibile alla traiettoria di questi titoli. “I Magnifici 7 sono stati quelli che hanno sofferto maggiormente durante il calo dei titoli azionari del 2022, con un rendimento del -39%, rispetto al -20% delle altre società dell’S&P 500”, dice. Tuttavia secondo Tousley questa concentrazione non giustifica il disinvestimento dai grandi nomi del tech. La performance di queste aziende è stata sostenuta da bilanci e da utili solidi, oltre che dal potenziale di crescita futura grazie all’intelligenza artificiale. “L’attuale concentrazione del mercato non è determinata dalla stessa natura speculativa di quella registrata durante la bolla delle dot-com”, afferma.
“I fattori che determinano l’elevata concentrazione di mercato di oggi sono ben diversi da quelli della recessione dei primi anni ‘80 o della bolla delle dot-com”, prosegue. “Attualmente le pressioni inflazionistiche più forti, i tassi d’interesse più elevati, l’aumento del costo del capitale e l’incertezza delle condizioni economiche e geopolitiche hanno permesso ai business model più solidi dell’indice di dimostrare la resistenza dei loro margini, attirando i flussi di investitori e spingendo al rialzo i loro capitalizzazione di mercato”, continua.
La bolla delle dot-com è un’altra storia
L’esperto ha analizzato la composizione storica dell’S&P 500 e le condizioni economiche e il sentiment attuali. Un primo periodo di elevata concentrazione dell’S&P 500 risale agli anni ‘70 e ‘80, quando IBM dominava l’indice con una capitalizzazione di mercato pari a circa il 6,4%. “L’S&P 500 ha subito alcune correzioni di mercato all’inizio degli anni ‘80, determinate in gran parte da shock di crescita e da impulsi recessivi dovuti all’aumento dei tassi d’interesse, che sono passati dal 10% a quasi il 20%, mentre le condizioni economiche esterne ai mercati hanno influenzato maggiormente il sentiment degli investitori e la performance dei titoli”, sottolinea.
“La bolla delle dot-com è un’altra storia, che, in ultima analisi, è stata duramente condizionata dall’impossibilità di offrire business model sostenibili e crescita degli utili”, dice. “I margini di profitto dell’S&P 500 sono quasi raddoppiati negli ultimi quarant’anni e i rendimenti dell’indice a fine anni ‘90 e a inizio anni 2000 erano più sovrappesati su un ventaglio più ampio di società”, prosegue. “Nell’attuale contesto di maggiore attenzione alla redditività e ai margini, le società in grado di garantire questi risultati sono state quelle più premiate, a scapito delle altre. La continuità della performance dei Magnifici 7 dipenderà dalla loro capacità di ottenere costantemente utili e crescita sostenuti”, argomenta.
In definitiva, secondo l’esperto, l’attuale concentrazione nel mercato non indica un calo imminente, ma piuttosto mette in evidenza le società che hanno mostrato bilanci solidi e che sono in prima linea per la crescita del settore tech. “Invece di uscire dalle società e dagli indici forti, cerchiamo di incrementare la diversificazione del portafoglio all’interno di altre aree di mercato poco considerate, sostenute da fondamentali altrettanto solidi”, conclude.