COP26 oltre lo slogan ‘net zero’, parola ai protagonisti degli investimenti

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Il 12 novembre si è conclusa a Glasgow la COP26. I leader mondiali di governi, imprese e società si sono incontrati per affrontare la crisi globale in atto e impedire che il cambiamento climatico diventi incontrollabile. In quella che è stata definita ‘l’ultima chiamata’ per il clima, sono stati compiuti alcuni importanti passi in avanti: l’impegno per fermare la deforestazione entro il 2030; il piano sponsorizzato da Stati Uniti e Europa per ridurre del 30% le emissioni di metano in dieci anni; il blocco ai finanziamenti all’industria fossile, per cui 25 Paesi interromperanno i progetti da loro finanziati all’estero su combustibili fossili entro la fine del 2022 e infine l’accordo di 40 Paesi a uscire dal carbone, le cui emissioni rappresentano quasi il 40% della CO2 emessa su scala globale, anche se disertato da USA e Cina. 

Ma le aspettative sul meeting erano elevate e da più voci è stata rivolta ai grandi della terra riuniti in Scozia la richiesta di uno sforzo maggiore. Soprattutto alla luce dei dati diffusi dall’Agenzia ONU per l’ambiente (Unep), che hanno messo in evidenza come nel 2021 le emissioni di CO2 dopo il calo per la pandemia abbiano avuto un rimbalzo più forte del previsto, tornando ai livelli del 2019. Per quasi due settimane il vertice è stato comunque il palcoscenico di governi e aziende per mostrare come intendano raggiungere l'obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 2°C, preferibilmente 1,5°C, rispetto alla temperatura media dell'era preindustriale, già evidenziato negli Accordi di Parigi. Gli impegni presi in questo summit sono un passo nella giusta direzione. A patto che non rimangano semplici intenzioni ma vengano concretamente attuate nei prossimi anni.

Anche la finanza ha risposto alla chiamata della COP26. Banche, fondi e società di gestione sono pronte a mettere a disposizione fino a 100 mila miliardi di dollari per supportare la transizione energetica necessaria nei prossimi 30 anni. L’impegno di chi gestisce i grandi patrimoni è assicurarsi che ci si allontani dai carburanti fossili e dalle attività intensive a livello di carbonio, per orientarsi verso quelle rinnovabili e a bassa intensità. Abbiamo chiesto ai protagonisti dell’industria un commento su come COP26 influenzerà gli investimenti ESG e come andare oltre lo slogan ‘net zero’ all’interno dei portafogli.

La risposta delle case di gestione

Emma Whiteacre, BlueBay AM

L’industria del risparmio gestito è sotto pressione per raggiungere il target delle zero emissioni di carbonio entro il 2050 e “governi e autorità di regolamentazione stanno chiedendo maggiore trasparenza e monitoraggio in materia di esposizione al clima, finanziamenti e profili del carbonio”, spiega Emma Whiteacre, senior ESG analyst di BlueBay Asset Management. In BlueBay  “stiamo lavorando molto per capire come possiamo soddisfare i requisiti dei clienti per il net zero dei loro portafogli. Oltre a concentrarsi sui percorsi di riduzione delle emissioni di carbonio e sull’allineamento con gli obiettivi climatici, c’è un margine reale per le soluzioni climatiche e le emissioni etichettate come verdi, costruite su strategie di decarbonizzazione credibili”, aggiunge Whiteacre. Secondo la manager “la disponibilità e la copertura dei dati è fondamentale per questo processo. Ci sono già molte iniziative per cercare di standardizzare i dati: il lancio a Glasgow dell’International Sustainability Standards Board dovrebbe essere un passo importante verso una migliore disponibilità di dati comparabili e affidabili che incentiverà i flussi verso le strategie net zero".

Vincent Hamelink, CANDRIAM

“Temi e tendenze non sono cambiati, forse si sono rafforzati”, sottolinea Vincent Hamelink, chief investment officer di CANDRIAM. “La maggiore copertura su testate giornalistiche di ampia diffusione potrebbe portare una maggiore enfasi sugli investimenti sostenibili. Già prima della COP26 il cambiamento climatico era un tema sempre più diffuso negli investimenti, e questa tendenza dovrebbe continuare. Per esempio, più tempo sarà necessario per produrre una significativa azione climatica, maggiore sarà il potenziale ritorno per gli investimenti in prodotti e tecnologie per la mitigazione e l’adattamento”, aggiunge Hamelink. 

Mitch Reznick, Federated Hermes

Il mercato obbligazionario globale nel suo complesso sembra fare spazio alla sostenibilità. Mitch Reznick, head of Research and Sustainable Fixed Income per la divisione internazionale di Federated Hermes, ricorda infatti che ormai il 20% di tutte le emissioni primarie con rating investment grade rientra nel segmento dei green, social o sustainable bond e che il volume complessivo di questo mercato si attesta su oltre 1,7 miliardi di dollari. 

“Nelle vesti di gestori attivi nel mondo obbligazionario, possiamo giocare il nostro ruolo per rispondere alle recenti chiamate all’azione. Possiamo ad esempio continuare a creare soluzioni di investimento tematiche e processi di investimento in grado di indirizzare il capitale verso quelle aziende che cercano di fare passi in avanti in termini di decarbonizzazione in maniera seria e credibile, avendo allo stesso tempo il potenziale necessario a fornire rendimenti superiori adeguati per il rischio”, commenta Reznick. “Questi rendimenti possono essere intercettati in quei nomi che hanno una buona governance ed una valida impostazione e che, dal nostro punto di vista, possono riuscire ad individuare la traiettoria dell’economia globale nei prossimi decenni tracciata da governi ed enti regolatori. Ambiti, ad esempio, quali net zero e tutela della biodiversità, tema quest’ultimo emerso con decisione durante la COP26 e che potrà diventare un grande filone nel campo degli investimenti sostenibili in futuro”, prosegue Reznick. 

Giuliano D'Acunti, Invesco


La risposta dell’asset management alla COP26 può così svilupparsi su due fronti, investimenti e  impegno nella scelta di società che siano attente alla sostenibilità anche da punto di vista della governance. “I passi concreti che l’obiettivo di emissioni nette zero nel 2050 richiede mostrano due cose”, evidenzia Giuliano D’Acunti, country head per l’Italia di Invesco. “La prima: si aprono possibilità e necessità di investimento enormi, come infrastrutture e ricerca scientifica e tecnologica: un’area in cui gli investimenti ESG potranno andare oltre gli slogan. La seconda: gli impatti sociali e politici delle scelte di transizione energetica. Anche questa è un’area in cui il coinvolgimento sociale e di governance degli investitori potrebbe dare un contributo utile”, conclude D’Acunti.