COP26: quali obiettivi sono stati davvero raggiunti e cosa è rimasto soltanto un "bla bla bla"

Il 12 novembre si è conclusa la COP26 di Glasgow. Per quasi due settimane il vertice è stato il palcoscenico di governi e aziende per mostrare come intendano raggiungere l'obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 2°C, preferibilmente 1,5°C, rispetto alla temperatura media dell'era preindustriale, già evidenziato negli Accordi di Parigi. Gli impegni presi in questo summit sono un passo nella giusta direzione. A patto che non rimangano semplici intenzioni ma vengano concretamente attuate nei prossimi anni.

Quali sono stati questi impegni? Forse uno dei più importanti è quello che riguarda l'intenzione di ridurre le emissioni nette. "Il 90% dell'economia globale si è impegnata a raggiungere emissioni nette zero nei prossimi 30-50 anni, ma le ambizioni sono ancora al di sotto degli obiettivi di Parigi", spiega Silvia Dall'Angelo, senior economist, International Business, Federated Hermes. Infatti, secondo i calcoli dell'Agenzia Internazionale dell'Energia (IEA), gli impegni aggiornati dei governi porterebbero il mondo su una traiettoria di riscaldamento post-industriale di 1,8°C, in calo da 2,1°C prima della COP26, ma ancora sopra la soglia cruciale di 1,5°C.

Meno metano

Un altro punto che ha suscitato ottimismo è l'accordo per ridurre le emissioni di metano del 30% entro il 2030. Second David Sheasby, head of Stewardship and ESG di Martin Currie (affiliata di Franklin Templeton) si tratta di un aspetto molto importante "poiché il metano è un fattore chiave per il cambiamento climatico e molto più potente della CO2 a breve termine". Dunque la strada è quella giusta, ma la verità è che Paesi come Cina, Russia e India hanno desistito a firmarlo. E come spiega Portocolom, questi Paesi sono responsabili del 35% delle emissioni di metano. Tuttavia, la Cina ha finito per impegnarsi, in un accordo con gli Stati Uniti, a "sviluppare un piano d'azione nazionale sul metano completo e ambizioso con l'obiettivo di raggiungere un impatto significativo sul controllo e la riduzione delle emissioni di metano nel 2020", secondo il comunicato congiunto rilasciato dai due Paesi.

È stato anche raggiunto un accordo globale per porre fine alla deforestazione entro il 2030. Era importante che Paesi come il Brasile, dove la foresta amazzonica si estende di più, fossero inclusi in questo accordo. Ma come fa notare Sheasby, "ancor prima che l’accordo fosse stato sottoscritto c’è stata una ritrattazione o richiesta di "chiarimento". L'Indonesia ha definito il patto scorretto ed il Brasile ha chiarito che fermerà solo la deforestazione illegale", commenta.

L'impulso necessario del settore finanziario

All'evento, come sappiamo, il settore finanziario si è ritagliato il proprio spazio spiegando quale sarà il proprio contributo alla lotta contro il cambiamento climatico. "Il settore finanziario privato ha dimostrato una forte volontà di fare la sua parte nel finanziamento della transizione verso l'energia netta zero, con 450 player che si sono uniti alla GFANZ (Glasgow Financial Alliance for Net Zero)", hanno spiegato Eva Cairns, senior ESG investment analyst e Jeremy Lawson, capo economista di abrdn. In particolare, la cifra esplicitata implica un investimento di 130mila miliardi di dollari per raggiungere un'economia netta zero entro il 2050.

Inoltre, molti gestori di fondi internazionali hanno approfittato del summit di Glasgow per annunciare iniziative al fine di contribuire alla riduzione delle emissioni. Alcuni hanno scelto di unirsi a iniziative come Net Zero AM o hanno annunciato piani individuali per collaborare con altre organizzazioni.

In sospeso l'aiuto per gli emergenti

Uno dei punti più attesi del vertice era comprendere come sarebbe stato articolato il piano del fondo annuale pari a 100 miliardi di dollari dei Paesi ricchi per i Paesi più poveri per aiutarli a finanziare la loro transizione energetica. Su questo tema, per esempio, le nazioni ricche, tra cui gli Stati Uniti e il Regno Unito, hanno annunciato 8,5 miliardi di dollari per accelerare la transizione energetica del Sudafrica. Tuttavia, non sono stati fatti molti altri progressi su quell'obiettivo di mobilitare 100 miliardi di dollari per aiutare le nazioni povere di risorse.

Forse non sorprende che alcuni Paesi come la Cina e l'India non abbiano osteggiato il cambiamento nella terminologia da "eliminare" a "ridurre" l'utilizzo del carbone. Questo è stato fortemente criticato da altri Paesi partecipanti al vertice, soprattutto da quella parte del mondo più sviluppato.

"I Paesi sviluppati fanno presto a giudicare le economie in via di sviluppo che ammorbidiscono il linguaggio degli impegni mentre si muovono nel delicato equilibrio tra la riduzione dell'intensità di carbonio delle loro economie e il mantenimento della crescita necessaria per aumentare gli standard dell'aspettativa di vita", dice Cairns, "La loro indignazione morale sarebbe giustificata se essi stessi adottassero una transizione più veloce e fossero molto più solidali con il Sud del mondo, per il quale il costo dell'abbattimento e gli impatti fisici del cambiamento climatico sono spesso maggiori".

Tuttavia, mentre ci sono stati progressi significativi in termini di impegni presi, rimane la parte più difficile: rispettare questi accordi. "La principale conclusione di questo COP potrebbe essere che dovremmo concentrarci meno su impegni generici e più sull'attuazione degli stessi", dice Gilles Möec, capo economista di AXA IM. Infatti, l'attivista per il clima Greta Thunberg ha sintetizzato così il vertice di Glasgow su Twitter: "COP26 è finito. Ecco un breve riassunto: bla, bla, bla". La speranza è poter dimostrare che si sbagli.