Una ricerca di State Street ha chiesto ai professionisti della gestione quali sono i fattori che accelerano o frenano l’adozione dei parametri di sostenibilità all’interno dell’investimento.
Into the Mainstream: ESG at a Tipping Point, questo il titolo della ricerca di State Street condotta su oltre 300 investitori istituzionali in tutto il mondo per conoscere quali sono gli elementi che accelerano o frenano l’adozione dei parametri di sostenibilità.
I fattori trainanti
Obblighi fiduciari, regolamentazione e mitigazione dei rischi sono segnalati come fattori più importanti che stanno determinando un’accelerazione dell’inclusione dei criteri ambientali, sociali e di governance all’interno del processo di investimento.
“Il fatto che gli obblighi fiduciari siano stati largamente citati rappresenta uno sviluppo significativo, poiché in precedenza molti investitori faticavano a stabilire se l'adozione dei criteri ESG fosse contraria ai loro obiettivi fiduciari o meno”, afferma Rakhi Kumar, head of ESG Investments and Asset Stewardship di State Street Global Advisors. “Insieme alla regolamentazione, questo è ora uno dei principali fattori chiave per l'implementazione di fattori ESG”, aggiunge.
Significative le differenze su base regionale. Per quanto riguarda il Nord America il fattore tenuto in maggiore considerazione è rappresentato dagli obblighi fiduciari, mentre nell’area EMEA è riscontrabile una maggiore importanza della questione normativa. Nell’Asia Pacifico, infine, prevale il controllo del rischio associato all’adozione dei criteri ESG, considerato, inoltre, in modo unanime più impattante rispetto al potenziale apporto in termini di performance.
Perplessità e dubbi
Tre i fondamentali fattori frenanti dell’adozione dei criteri ESG individuati dalla ricerca di State Street. “L’inaffidabilità e l'incoerenza dei dati in ambito ESG è stato citato dal 44% degli intervistati come il principale deterrente, evidenziando come le sfide poste dalla qualità dei dati siano una preoccupazione primaria”, si legge nelle conclusioni diffuse dalla società.
“L’importanza attribuita a ciascun fattore varia a seconda del tipo di istituzione”, si specifica inoltre. “È molto più probabile che i fondi pensione citino la disponibilità di dati ESG affidabili come una preoccupazione principale (47%), mentre un'ampia percentuale di fondi sovrani (69%) considera i costi delle risorse interne come un deterrente, fattore che indica l'opportunità di partnership tra fondi sovrani e asset manager al fine di lavorare congiuntamente alla pianificazione dell’adozione di criteri ESG”.
Gli investitori istituzionali italiani
“I risultati della nostra ricerca condotta a livello globale riflettono le dinamiche che stiamo osservando anche sul mercato istituzionale italiano”, spiega Antonio Iaquinta, responsabile clienti istituzionali di State Street Global Advisor. “Una forte spinta all’adozione di principi ESG è stata data in primis dalla regolamentazione, in particolare IORP2 per il mondo previdenziale. Senza un obbligo normativo probabilmente non tutti gli investitori si sarebbero interessati al tema con la stessa urgenza. Bisogna sottolineare però come alcuni abbiano già da qualche anno deciso di approfondire l’argomento ESG per comprenderne l'impatto potenziale sui propri investimenti. Proprio approfondendo il tema degli investimenti ESG emergono la complessità e la necessità di maggiori risorse e competenze, che di fatto rappresentano i principali fattori frenanti all’adozione diffusa di criteri ESG nella gestione dei portafogli. La strada da fare è ancora lunga: non esiste un’unica soluzione che possa essere adottata facilmente da tutti gli investitori. Una cosa è certa: gli asset in gestione secondo criteri ESG sono cresciuti rapidamente negli ultimi due anni fino a raggiungere oltre 30 mila miliardi di dollari e non accennano minimamente a fermarsi”, dichiara.