È finita l'epoca dei 'goldilocks'

Daniel Morris notizia
Daniel Morris. Foto concessa da BNP Paribas Asset Management

È finita l’epoca dei ‘goldilocks’, cioé quella caratterizzata da crescita mondiale, inflazione stabile e bassa volatilità. Il prossimo anno, le cose stanno cambiando. È così che ha esordito Daniel Morris, strategist di BNP Paribas Asset Management, nel presentare il suo outlook per il 2019.

“Il prossimo anno assisteremo ad una crescita del PIL mondiale del 3%. Gli Stati Uniti continueranno a beneficiare degli stimoli fiscali, anche se non vedremo il ritmo di crescita dei livelli passati. Segnali di un rallentamento si avranno invece in Europa, le cui previsioni di crescita economica si sono abbassate all'1,6%, inferiori alle attese, ma comunque in linea con la media di lungo periodo (circa l'1,5%)”, commenta Morris.

L’esperto individua negli Stati Uniti alcuni rischi da monitorare. “Non ci aspettiamo la recessione negli USA per il prossimo anno, ma la principale preoccupazione per noi è che la Fed, con i prossimi tre aumenti nel 2019, possa in realtà commettere degli errori. In primo luogo può accadere che la Banca centrale statunitense aumenti troppo i tassi di interesse, anche nel caso non ci sia stato un innalzamento dell’inflazione, provocando così un calo della crescita; o viceversa che, con una maggiore inflazione, la restrizione di politica monetaria già prevista risulti insufficiente. Inoltre i tagli alle imposte messi in atto dall’ammistrazione Trump hanno incrementato il rapporto debito/PIL del Paese, di conseguenza il livello di rendimento dei Treasuries deve aumentare per riflettere questo debito. Tuttavia, nel medio-lungo periodo, questo potrà avere un impatto negativo”, aggiunge.

Cos'è cambiato in Europa a tal punto da rivedere al ribasso le previsioni per il 2019? “Nonostante i consumi siano rimasti robusti, le spese per gli investimenti sono aumentate significativamente. Un contributo rilevante alla minore crescita del PIL è stato dato dalle esportazioni. La ragione non è tanto legata alla Cina, quanto piuttosto al commercio con gli USA, che nel corso del 2018 si è ridotto notevolmente, probabilmente come riflesso dell’amministrazione Trump. La minore crescita e le incertezze politiche porteranno la BCE a tardare il primo aumento dei tassi, che stimiamo possa arrivare nel 2020”, spiega Morris.

Per l’Italia la situazione rimane critica, il valore del PMI è di 49, sotto la soglia accetabile di 50. “L’Italia deve cercare di convincere i mercati più che Bruxelles, se non vuole continuare ad avere il problema della crescita economica”, dichiara. “Per quanto riguarda invece la Brexit, ci siamo imbattuti in una over reaction. Tutto dipenderà dall’accordo con il parlamento. Al momento le probabilità di una hard Brexit, con conseguenze drastiche sia per il Paese che per l'Europa, sono molto basse”, commenta l’esperto.

Infine, con riferimento ai mercati emergenti, il principale problema è legato all’apprezzamento del dollaro, a sua volta dovuto alla trade war tra USA e Cina. Un'ulteriore preoccupazione è rappresentata dal rallentamento della crescita economica in Cina, che nel 2019 sarà meno forte. “La Cina crescerà ad un tasso del 6,2%, comunque maggiore del 6% (livello accetabile prima che ci sia un intervento da parte del governo). Tuttavia il rallentamento è dovuto ad un deleveraging generale; il governo, infatti, vuole risolvere la questione delicata dello shadow banking, anche se ciò vorrà dire minore crescita economica. Si tratta comunque di un aspetto positivo”, conclude.

Sulla base di queste valutazioni, lo strategist decide di sovrappesare le azioni rispetto ai bond, in particolare quelle large cap dei mercati sviluppati; le azioni emergenti mostrano inoltre valutazioni interessanti, anche se occorre fare attenzioni agli entry point. Infine, rimane neutrale sulla duration statunitense, sottopesando invece bond periferici, high yield e investment grade europei, "perché ormai troppo cari".