Dalla crisi Lehman alla crisi Covid. Cosa è cambiato nei mercati

Chenyu Guan, Unsplash

Sono trascorsi 13 anni dallo scoppio della crisi che ha modificato completamente la percezione del rischio a livello “sistemico” nei mercati mondiali. A settembre 2008, la nazionalizzazione dei due giganti del credito Fannie Mae e Freddie Mac è stata la prima vera avvisaglia di quel fenomeno che sarebbe culminato, di lì a una settimana, nel fallimento di Lehman Brothers. Un episodio spartiacque per la storia finanziaria recente, che ha interessato i mercati per anni, con ricadute in termini di crisi di liquidità e di fiducia degli stessi investitori. Lo scoppio della pandemia di Covid-19, come noto, non ha avuto effetti soltanto dal punto di vista sanitario e sociale (con il triste tributo di vite umane che ha comportato) ma ha confermato ancora una volta quanto ogni meccanismo e ogni evento sia intimamente connesso con le sorti della finanza mondiale. Da qui emerge la necessità di comprendere cosa contraddistingue le due maggiori crisi dell’epoca recente in modo da analizzare come siano cambiati i meccanismi sottostanti al funzionamento dei mercati in questi 13 anni.

CONTI (EURIZON): “CRISI LEHMAN, EVENTO EPOCALE”

Andrea Conti, foto concessa

“Il fallimento Lehman è uno dei pochi eventi degli ultimi decenni che può veramente definirsi epocale”, afferma Andrea Conti, Responsabile Macro Research & Product Specialist di Eurizon. In occasione di quell’evento “è risultato evidente che nel mondo finanziarizzato, globalizzato, indebitato del 2008, e di oggi, tutti possono risultare ‘too big to fail’. Nell’intreccio di debiti che sottende l’economia globale non è possibile sfilare un singolo mattone, Lehman in USA, la Grecia in Eurozona, senza fare crollare l’intero castello”. Qual è stata allora la via di uscita messa in atto dagli attori della finanza mondiale? Per Conti la risposta è certa, “cambiare paradigma: da debito ripagabile a debito sostenibile”. E per mettere in atto questo cambio di paradigma sono intervenute le banche centrali “abbattendo i tassi di interesse e acquistando debito loro stesse. Un debito che paga tassi reali zero o negativi è sostenibile per definizione. Il creditore si ‘accontenta’ di perdere remunerazione, senza però perdere il capitale”. Certo, nasce un’obiezione indicata dallo stesso esperto di Eurizon: in questo modo si sostengono debiti buoni e debiti cattivi allo stesso modo. “Vero, ma l’alternativa sarebbe peggiore. E poi molti debiti erano stati creati buoni, ma sono diventati cattivi perché nel frattempo la crescita economica globale ha perso via via vigore. E senza crescita nessun debito è ripagabile”. Secondo Conti, è proprio questo il motivo per cui Lehman ha segnato un momento di vera discontinuità, “più dell’11 settembre, o anche della pandemia. Il contesto di tassi ultra bassi, per dare sostenibilità al sistema, nasce allora e sarà la norma ancora per molti anni. A meno di un balzo permanente della crescita economica che appare però poco probabile date le tendenze demografiche e di invecchiamento delle popolazioni”. E proprio l’esperienza accumulata dalle banche centrali dopo il crollo del settembre 2008 che “ha permesso di contenere al minimo gli effetti economici negativi legati alla pandemia. Nel 2020 le banche centrali sono stare estremamente reattive nell’attivare gli strumenti di espansione monetaria che avevano creato dopo la crisi del 2008. E lo hanno fatto per evitare che la crisi economica scatenata dalla pandemia si trasformasse in una crisi finanziaria”. Secondo Conti in assenza di questo intervento avremmo assistito a una “riedizione del 2008 elevata alla potenza. Da questo punto di vista Lehman è stato un episodio utile. Senza Lehman la pandemia, già dolorosa di per sé, sarebbe stata ancora più gravosa”.

MANULI (HEDGE INVEST): “LA RISPOSTA DEL MERCATO IN DUE FASI”

Elisabetta Manuli, foto concessa

Elisabetta Manuli, vicepresidente e gestore del fondo HI Global Fund, Hedge Invest SGR individua due fasi successive al fallimento di Lehman Brothers: “Un primo periodo caratterizzato, dal punto di vista dell’investitore, dalla richiesta di prodotti estremamente liquidi, in un contesto armonizzato, accompagnata dall’esigenza della trasparenza totale sui portafogli dei gestori. Dal punto di vista dell’intero sistema finanziario invece, tale prima fase è stata caratterizzata da un forte aumento della regolamentazione, nel tentativo delle autorità del settore di evitare il ripetersi di una situazione analoga a quella verificatasi nell’ultimo trimestre del 2008”. Nella seconda fase individuata da Manuli gli investitori hanno spostato la propria attenzione “sui prodotti di investimento più illiquidi, con un forte aumento della domanda di fondi chiusi di diverso genere soprattutto da parte degli istituzionali”. La risposta principale alla crisi è arrivata dalle banche centrali globali “che hanno inaugurato l’era del Quantitative Easing, apportando abbondante liquidità al sistema, al fine di evitare il ripetersi della crisi di settembre 2008”. Questa espansione dei bilanci delle banche centrali “ha sostenuto sia i mercati azionari sia quelli obbligazionari – continua la vicepresidente di Hedge Invest –, generando un lungo bull market che ha consentito la sovraperformance delle strategie a gestione passiva rispetto a quelle a gestione attiva, e ha avuto come effetto collaterale la creazione di bolle speculative in alcuni comparti dei mercati”. A fronte della richiesta di un parallelismo con la crisi da Covid-19, l’esperta sottolinea l’esistenza di temi comuni, “quali la risposta alla crisi da parte delle banche centrali che, dopo gli interventi post marzo 2020, ha alimentato un fortissimo bull market sia sull’azionario sia sull’obbligazionario”. Uno scostamento fondamentale risiede, però, sulla “differente tenuta del sistema finanziario post crisi”. Nella crisi legata allo scoppio della pandemia, infatti, “il settore bancario, ormai in gran parte risanato, nel 2020 non ha rischiato di soffrire di una crisi di liquidità quale quella del 2008, rappresentando al contrario uno strumento indispensabile attraverso cui i Governi potessero veicolare i supporti di politica fiscale espansiva deliberati per far fronte alla crisi da Covid-19 all’economia reale. Ragion per cui – conclude Manuli – sembra ad oggi che la crisi economica post-Covid potrebbe avere una durata inferiore rispetto alla crisi post 2008”.

ZORZI (ARCA): “NEL 2008 INAUGURATA LA STAGIONE DELL’INTERVENTISMO DELLE BANCHE CENTRALI”

Alberto Zorzi, foto concessa

Della stessa opinione Alberto Zorzi, responsabile direzione investimenti di Arca Fondi SGR. Secondo l’esperto il fallimento di Lehman Brothers “in retrospettiva è stato molto importante perché ha inaugurato la stagione del QE, del grande interventismo delle Banche Centrali, che ha permesso, allora come oggi con la crisi COVID, di mantenere in equilibrio sia il sistema bancario sia l’economia reale”. Un precedente importante, dunque, che ha consentito di attivare una risposta immediata alle sfide imposte dalla pandemia. “È indubbio – continua Zorzi – che senza il sostegno monetario ‘illimitato’ che oggi viviamo, le conseguenze di queste crisi sarebbero state ben peggiori”. Il responsabile direzione investimenti di Arca ricorda come con il Quantitative Easing “l’effetto più visibile per i risparmiatori sia stato quello dei tassi a zero e negativi sui titoli governativi, con un iniziale disorientamento per chi era abituato al solo investimento obbligazionario a breve termine”. Però il conseguente spostamento su strumenti di risparmio gestito di tipo bilanciato e azionario “ha portato ai clienti le importanti plusvalenze che i mercati finanziari hanno offerto in questi anni, più che compensando i tassi zero”.