Donne e finanza, una lunga strada ancora da percorrere

Captura_de_pantalla_2018-06-19_a_las_21
immagine ceduta

Nell’immaginario collettivo il mondo della finanza appartiene agli uomini, e se le donne vogliono metterci piede devono imparare ad emularli. Fortunatamente le cose stanno cambiando. Il CFA Society Italia ha organizzato una conferenza sul tema della diversificazione in generale come principio di successo, a partire dal divario di genere, per sensibilizzare il settore alla problematica.

Nonostante si siano fatti passi da gigante negli ultimi anni, la presenza femminile all’interno delle istituzioni finanziarie costituisce ancora una minoranza, come dimostrato dallo studio condotto dal CFA Institute e presentato da Rebecca Fender, head of future finance dell'associazione. In particolare, la rappresentanza delle donne scarseggia sul lato front office, le donne hanno più difficoltà ad affermarsi nell’industria del risparmio gestito e  necessitano di maggiori qualifiche rispetto ai colleghi uomini per raggiungere ruoli dirigenziali.

Nessun tailleur per le cinque donne manager che hanno preso parte al panel di discussione, ma tacchi e abiti femminili, per dimostrare che non occorre imitare i colleghi uomini per essere prese sul serio nel settore dell’asset management.

Patrizia Bussoli, responsabile asset allocation di UBI Pramerica SGR, sulla base delle esperienze personali conferma la minoranza della presenza femminile nei team di gestione e di investimento italiani, più alta invece la percentuale di donne nei dipartimenti legale, marketing e compliance. La Bussoli fa riferimento ad una ricerca del Board Economic Forum secondo cui “al momento dell’ingresso di nuovi talenti si percepisce una certa parità dei sessi, il divario importante si denota successivamente nei ruoli senior e manageriale. Si parla di un ‘drop rate’ (inteso come tasso di abbandono del lavoro), più alto anche rispetto ad altri settori”. “Esistono principalmente due barriere: la disparità a livello salariale e la mancanza di flessibilità sul lavoro”.

Silvana Chilelli, head of alternative investments and special projects di Intesa Sanpaolo Vita, ritiene che “tutte le istituzioni finanziarie debbano migliorare l’aspetto dell’inclusione femminile”. La manager crede che “ il primo passo sia quello di crederci, assumersi le proprie responsabilità e avere molta attenzione per la famiglia”. La Chilelli infatti racconta che quando era giunto il momento di scegliere i suoi sottoposti, ha deciso di ‘rischiare’ scegliendo una giovane donna, che molto probabilmente avrebbe avuto presto un secondo figlio, "ma questo non poteva e doveva precluderne la scelta".

Anna Di Michele, head advisory solutions di UBS, spiega che “nell’ambito del wealth management sia molto difficile creare un ambiente in cui la donna si senta ‘confident’ nel corso della sua carriera e che le permetta di coinciliare casa e lavoro”. A seguito della sua esperienza in Asia, la manager commenta che “sicuramente in Italia c’è un blocco culturale, in Oriente la donna è riconosciuta come quella figura preposta alla gestione del patrimonio della famiglia, si spiega per questo la maggiore penetrazione di donne banker, più solide nell’affrontare le tematiche”. Anche in Europa la tendenza attuale è quella di una crescita dei clienti donna, questo probabilmente permetterà di avere una maggiore rappresentanza anche nel settore del risparmio gestito”.

Alessandra Losito, head della branch romana di Pictet Wealth Management, crede che “migliorare il tema di diversità all’interno delle istituzioni finanziarie sia un esigenza di business”. La manager dichiara che il 30% della ricchezza mondiale è nelle mani delle donne e prende spunto da una ricerca della Boston Consulting secondo cui i servizi finanziari e assicurativi sono citati al primo posto per grado di insoddisfazione, “questo conferma che stanno aumentando i clienti donna, che c’è la necessità di rispondere sempre meglio alle loro esigenze e ciò non può avvenire solo con referenti maschili”, aggiunge.

Cinzia Tagliabue, CEO di Amundi SGR, racconta che agli esordi della sua carriera si è persino sentita dire “ma non avete un uomo con cui parlare?”. Da allora si è fatta tanta strada nel settore dell’asset management, in Amundi, per esempio, la CEO commenta che “esiste un protocollo che favorisce l’uguaglianza dei sessi attraverso un percorso di mentoring incrociato tra uomo e donna”. “Occorre lavorare sui manager uomini, che ancora oggi continuano ad avere delle preclusioni mentali nei confronti delle donne”, aggiunge la Tagliabue. Amundi inoltre cerca di supportare le donne che lasciano momentaneamente il lavoro per andare in maternità attraverso percosi di coaching, che consentano di seguire la donna durante il suo rientro al lavoro e corsi specifici per colmare eventuali gap tecnici che si sono creati durante l’assenza.

Da tutte queste esperienze emerge che sicuramente la strada da percorrere verso la parità dei sessi è ancora molto lunga, ma si potrà arrivare prima solo dopo aver appreso che la diversità apporta solo valore, e il confronto tra diversi punti di vista è la base degli investimenti.