Draghi mette fine al Qe (dal 2019). Quali reazioni?

Draghi
European Parliament, Flickr, Creative Commons

Alla fine il tanto attesto cambio di politica monetaria è arrivato. La Bce ha annunciato che limiterà il programma di quantitative easing a partire dal prossimo settembre, quando gli acquisti mensili del Qe verranno ridotti dagli attuali 30 a 15 miliardi di euro fino a dicembre e lì azzerati, giungendo dunque alla chiusura definitiva del programma. Inoltre Mario Draghi ha anche segnalato quando potrebbe prodursi il primo rialzo dei tassi in Europa: attualmente restano a zero e continueranno ad essere tali almeno fino all’estate 2019. Sarà allora che la Banca centrale europea prenderà una decisione su cosa fare, dopo aver analizzato l’evoluzione dell’inflazione. Per Draghi siamo sulla buona strada, l’inflazione va dritta verso l’obiettivo del 2%. Di fatto, il board ha rivisto al rialzo le stime sia per quest’anno che per il prossimo anno, portandola in entrambi i casi all’1.7%.

È questa la notizia più rilevante per alcuni esperti, come Luca Noto, senior portfolio manager obbligazionario di Anima. “Nello specifico dell’inflazione, la convergenza delle previsioni, la dispersione delle attese e la fiducia sulle stesse, se confermate dovrebbero condurre ad un rialzo dei tassi dopo l’estate del 2019”, spiega l’esperto. “Inoltre, sebbene Draghi abbia indicato in avanti il primo rialzo dei tassi, per la prima volta ha però segnalato un momento nel futuro in cui la Banca centrale comincerà a normalizzarli. La reazione del mercato è stata molto positiva perché da un lato si scongiura un potenziale intervento nel breve periodo e per certi versi questo spazio di tempo amplifica lo scetticismo nella capacità della Bce di poter effettivamente alzare i tassi dopo circa 10 anni di politiche non convenzionali e 4 anni di tassi negativi. Qui viene in mente la Fed: lo stesso scetticismo c’era quando il Fed Chair Yellen annunciò il primo rialzo che il mercato definì come “one-and-done”. Da allora, e con quello di ieri sera, la Fed ha alzato i tassi di 0,25% per ben 7 volte”, fa notare Noto.

L’annuncio sembra infatti aver tranquillizzato i mercati. Non solo per una dilatazione nel tempo dei prossimi passi in agenda ma anche perché la politica monetaria continuerà ad essere in fondo accomodante. “Il volume degli acquisti non scenderà semplicemente dagli attuali 30 miliardi di euro al mese a zero entro fine settembre, ma sarà prima limitato a 15 miliardi di euro al mese nel quarto trimestre, per poi cessare a fine anno” fa notare Wolfgang Bauer, gestore del fondo M&G Absolute Return Bond di M&G Investments. Ma non solo. Per l’esperto bisogna sottolineare il fatto che questo non segna la fine del Qe in Europa. “La Bce reinvestirà il debito in scadenza per un lungo periodo di tempo dopo la conclusione degli acquisti netti, continuando così a immettere liquidità nei mercati obbligazionari europei nel prossimo futuro, sebbene a un ritmo molto più lento rispetto agli ultimi due anni”.

Secondo Silvia Dall'Angelo, senior economist di Hermes IM, "il percorso di normalizzazione della politica monetaria della Bce resterà probabilmente graduale, prudente e prevedibile. Nei prossimi anni, la Bce replicherà probabilmente le misure adottate da altre importanti banche centrali che si trovano in fasi più avanzate del ciclo di normalizzazione. Tuttavia, l'emergere di nuovi rischi complica la situazione. Le tensioni commerciali e l'accresciuta volatilità dei mercati finanziari stanno ora confondendo le prospettive. Inoltre, la zona euro non sarebbe immune da un rallentamento negli Stati Uniti, dove il ciclo economico è in una fase successiva e la vulnerabilità agli errori di politica economica è più elevata. Per questo motivo, il piano della Bce relativo alle tappe finali della normalizzazione della politica monetaria potrebbe finire per essere accantonato, prima di essere preso in seria considerazione".  

Italia, l’anello debole?

Se la forward guidance offerta dal governatore Mario Draghi rimane quindi prudente, al di là dei toni dovish è chiaro che “la Bce non farà sconti ad alcun Paese indisciplinato sul fronte fiscale”, affermano Fabio Castaldi e Marco Piersimoni, senior investiment manager di Pictet AM, riferendosi alla prospettive future dell’Italia. “Alla Bce non può e non deve essere chiesto di intervenire in soccorso di mercati in difficoltà, laddove tale ‘disordine’ sia motivato da intenzioni e dichiarazioni politiche che siano palesemente in contrasto con le regole sottoscritte dai tutti i paesi membri dell’area euro”, ribadiscono i due esperti. “L’instabilità della politica domestica ha avuto e sta avendo ricadute pesanti sui mercati obbligazionari domestici e, nelle fasi più acute della crisi, su quelli globali. Il ritorno a un regime di volatilità sano e di liquidità normale del mercato obbligazionario italiano passa per il ritorno della fiducia degli investitori nei fondamentali non tanto economici – che appaiono ragionevolmente solidi e in progresso - ma quanto politici del nostro Paese. La crisi è stata innescata da una precisa scelta politica e dalle intenzioni espresse dal governo, questo elemento deve essere rimosso in maniera convincente per ridurre lo spread in maniera sostenibile e riportare liquidità e ordine al mercato secondario dei bond”, concludono i manager.