E se i QE non stessero funzionando?

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foto flickr: Artemuestra, Creative Commons

E se si cominciasse a costatare che i QE non stessero funzionando? Che cosa accadrebbe? Ê una delle domande che sempre più gestori e investitori si pongono. E le conclusioni tratte sembrano difficili da assumere. Aron Pataki, gestore di Newton, una controllata di BNY Mellon, è convinto che le politiche di quantitative easing (QE) servono più a stimolare la crescita della ricchezza "virtuale" che una ripresa economica sostenibile. "La verifica potrebbe portare a una revisione del valore degli asset a rischio e il loro declassamento", dice. Il problema principale secondo il team Real Return di Newton è che "abbiamo vissuto l'illusione di avere una macchina da soldi perenne in cui la spesa finanziata con il debito continua a crescere. I bassissimi tassi d'interesse hanno incoraggiato gli attori del mercato ad accumulare più debito, cosa che probabilmente renderà insostenibile la crescita economica generata". 

Il "carico di debito" è uno dei temi d'investimento attraverso il quale Newton discute i principali cambiamenti che interessano l'economia mondiale, come dice Pataki. Egli spiega che il denaro a buon mercato ha ridotto la volatilità dei prezzi e ha incoraggiato gli investitori a ridurre i portafogli di liquidità. Ha anche spinto gli investitori verso asset più rischiosi, sperando di ottenere una maggiore redditività, assumendo un rischio maggiore. A questo proposito, ricorda che i mercati azionari hanno registrato forti rialzi, nonostante una diminuzione dei guadagni, e una delusione continua per quanto riguarda la crescita economica globale. "Le cattive notizie economiche non possono continuare ad essere buone notizie per gli investitori in asset in crescita, perfino se questo porta con sé più politiche di stimolo", dice. "Crediamo che gli investitori finiranno per perdere la fiducia nei governi, costatando che le politiche di QE guidano per lo più la crescita della ricchezza che può essere definita come virtuale e non portano ad una ripresa economica sostenibile. Ciò potrebbe causare una profonda revisione del valore degli asset rischiosi e il loro declassamento. Il fallimento della Fed, proprio quando tenta di normalizzare la politica monetaria dopo sette anni di tassi a zero sarebbe la goccia che fa traboccare il vaso: gli investitori potrebbero mettere in discussione l'efficacia del QE e, di conseguenza, la credibilità delle banche centrali".

Per Pataki, l'evidenza empirica suggerisce che, in pratica, la politica monetaria eterodossa ha un effetto deflazionistico, non è inflazionista, come evidente nel continuo calo della velocità di circolazione del denaro e del pricing power delle imprese. In altre parole: il contrario di quanto voluto" riassume Pataki. "È anche importante notare che queste politiche non sono prive di costi: le conseguenze negative impreviste spesso superano i benefici a breve termine". "È difficile sapere quali siano le conseguenze ultime dei bassi tassi di interesse, ma è molto probabile vederne l'impatto amplificato da un aumento della leva finanziaria e da un disallineamento pericoloso tra gli asset di rischio e i titoli di tali attività rischiose", afferma Pataki. "Questo porterà volatilità anche in aree inaspettate. Se l'attività economica continua a diminuire, i debiti probabilmente torneranno a salire. E in un ambiente distorto dalla politica delle banche centrali, in cui le banche d'investimento detengono meno rischio, la liquidità potrebbe essere il fattore chiave al di sopra della solvibilità delle banche (come è avvenuto nel 2008)", conclude l'esperto.