Il bonus fiscale agli Eltif è sempre più vicino. Mercoledì, il documento inserito all’interno del decreto Crescita, verrà discusso in Parlamento. Frattanto il nuovo impianto dei PIR segna il declino di questi strumenti.
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Il bonus fiscale agli Eltif è sempre più vicino. Mercoledì, il documento inserito all’interno del decreto Crescita, verrà discusso in Parlamento. L’idea è quella di prevedere una detrazione del 30% per le persone che investono in questi fondi chiusi che investono nelle piccole e medie imprese. “Si tratta di veicoli di investimento che offrono agli investitori ampi profili di diversificazione e de-correlazione rispetto ai mercati finanziari, mentre permettono alle imprese beneficiarie l’accesso a risorse finanziarie indispensabili per il proprio sviluppo su un orizzonte temporale di medio/lungo periodo”, spiega Sergio Zocchi, amministratore delegato di October Italia, piattaforma online di finanziamento alle imprese.
“La possibilità di investire in una gamma molto ampia di strumenti finanziari (oltre i titoli di equity e debito), insieme alla struttura chiusa del fondo, rendono gli Eltif un modo molto efficace per veicolare risorse a favore delle PMI. Inoltre, l’estensione dell’agevolazione prevista anche ad investimenti indiretti (attraverso fondi di fondi di Eltif) consente di aumentare l’efficacia di questa misura, permettendo la creazione di veicoli destinati agli impieghi (gli Eltif) e la contemporanea esistenza di veicoli di raccolta, fondi tipicamente aperti anche ad investitori retail (i beneficiari dell’incentivo fiscale) e gestiti da società focalizzate sulla raccolta del risparmio”.
Il declino dei PIR
È in questi strumenti, infatti, che si confida per ristabilire il collegamento fra il risparmio degli italiani e la piccola e media impresa, dopo il contino declino dei Piani di risparmio individuali. “Dopo il boom di raccolta che si è registrato nel 2017, sono emersi dei dubbi circa l’effettivo impatto di questo strumento sull’economia reale”, continua Zocchi. “Le somme raccolte, infatti, sono confluite prevalentemente su titoli emessi da aziende già quotate mentre quasi nulla è stato destinato alle imprese non quotate attraverso strumenti di private equity, private debt o venture capital.
Le novità recentemente introdotte dalla riforma dei PIR prevedono l’introduzione di un vincolo del 3,5% delle somme destinate ai PIR all’investimento su PMI quotate all’AIM e un altro 3,5% in venture capital, riflettendo la volontà del legislatore di dare maggiore impulso allo sviluppo delle imprese di piccole dimensioni o di recente costituzione. Va ricordato, però, che la platea di potenziali beneficiari di questa allocazione specifica all’interno dei portafogli PIR è pari a 200-250 aziende al massimo, su un totale in Italia di oltre quattro milioni di imprese e un milione di società di capital”. Senza contare i malumori delle società di gestione che si sono viste stravolgere la natura stessa di un fondo aperto, per Zocchi, insomma, la riforma sui PIR va nella strada giusta ma non è sufficiente.
Agevolazioni fiscali per altre asset class?
Un passo avanti potrebbe essere fatto estendendo le agevolazioni fiscali disponibili per i PIR e a breve per gli Eltif anche a nuove asset class (tra cui i bond di distretto e i nuovi basket bond, il private debt, il private equity e le forme di permanent capital) sfruttando tutte le opportunità degli strumenti finanziari oggi disponibili sul mercato.
L’esperto fa riferimento ad alcune esperienze estere, per corroborare la sua tesi, come ad esempio quella francese. “I Piani francesi di risparmio azionario (PEA), antenati dei nostri PIR, sono stati introdotti presso gli investitori retail da oltre vent’anni. Da un massimo di 7,3 milioni di PEA aperti nel 2000, a fine 2018 erano attivi in Francia 4,6 milioni di piani di risparmio azionario, di cui 75 mila destinati alle PMI, con impieghi complessivi pari a 92 miliardi di euro (1,2 miliardi su PMI). Sul fronte degli investitori istituzionali, le compagnie assicurative francesi a partire dal 2012 hanno iniziato ad allocare a strumenti di investimento rivolti alle imprese parte del proprio portafoglio. Nel solo 2016 hanno finanziato il settore produttivo per oltre 1.400 miliardi di euro, di cui il 37% investito in obbligazioni e il 17% in azioni. Il 56% di tale ammontare è stato destinato a imprese nazionali e quasi il 5% a piccolo-medie imprese. I 63,5 miliardi di euro, corrispondenti a quest’ultima percentuale, si sono inoltre equi-ripartiti fra strumenti di debito (32 miliardi) e azioni (quotate e non quotate: 31,4 miliardi). Anche se rapportati alla diversa dimensione del settore assicurativo – ramo vita in Francia e in Italia, si tratta di cifre che non trovano riscontro nel nostro mercato nazionale che non supera i 3 miliardi di euro”, ribadisce Zocchi.
“Creare le condizioni affinché, da un lato, gli investitori privati e istituzionali possano accedere a una pluralità di strumenti finanziari scegliendo i più adatti al loro profilo di rischio e dall’altro, le PMI possano effettivamente diversificare le fonti di finanziamento al di fuori del canale bancario è l’unica garanzia per ottenere un impatto significativo e duraturo sulla crescita del tessuto imprenditoriale italiano”, conclude infine il manager.