ESG, cosa accade se nel portafoglio tornano temi controversi

ESG, esclusione
Markus Spiske. (Unsplash)

"Ridurre ovunque e in maniera significativa tutte le forme di violenza e il tasso di mortalità a esse correlato". Recita così l'obiettivo numero 16 degli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite introdotti nel 2015. Si muove da questo spunto l'analisi di Rachel Whittaker, head of SI Research, Robeco il quale sottolinea come, attualmente, "viene messo in discussione uno dei più longevi pilastri dell’investimento sostenibile: l’esclusione delle armi dai portafogli sostenibili. Quella di vietare o meno le armi non è mai stata una semplice dicotomia, visto che gli investitori hanno sempre dovuto decidere, per esempio, se bandire qualsiasi arma oppure soltanto quelle vendute agli eserciti, se escludere solo i fabbricanti di armi o anche i loro rivenditori o, ancora, se trattare le armi da fuoco sportive alla stessa stregua delle bombe a grappolo". Un tema davvero complesso quindi.

Il gestore di Robeco ricorda che la pratica di evitare le armi più controverse non è prerogativa soltanto dell’investimento etico o sostenibile. "In Svizzera, la Legge federale sul materiale bellico vieta a tutte le banche e ai fondi pensione nazionali di investire in attrezzature concepite specificatamente per il combattimento. Si tratta però di una gamma piuttosto ristretta di attività e, pertanto, l’associazione Swiss Sustainable Finance esclude dalle proprie stime di gestione sostenibile gli asset dei fondi che si limitano a bandire le armi sulla base dei requisiti minimi previsti per legge".

La guerra in Europa

Il dibattito è stato riacceso anche dalla guerra che si sta consumando nelle ultime settimane in Ucraina. "Alcuni investitori e commentatori invitano a riconsiderare l’esclusione quasi totale delle armi dai portafogli sostenibili. Il nodo della questione è: le armi sono uno strumento davvero necessario a proteggere la pace e la democrazia? Potrebbero contribuire o addirittura essere indispensabili per il raggiungimento dell’SDG16 (Pace, giustizia e istituzioni solide)?" commenta l'esperto.

Un elemento in più è arrivato lo scorso febbraio con la proposta di una Tassonomia sociale per la finanza sostenibile dell’UE che definisca in modo esplicito come altamente controverse soltanto le armi davvero in grado di ostacolare gli obiettivi sociali. "Si tratta di una definizione molto specifica, proprio come quella svizzera, che ammette la possibilità che armi da fuoco non militari contribuiscano al raggiungimento di altri obiettivi sociali, come la tutela dei diritti umani" dice Whittaker.

Di certo c'è che, almeno nel breve termine, i sentimenti nei riguardi delle armi sembrerebbero troppo radicati per poter rivoluzionare i portafogli sostenibili. "Un numero maggiore di armi non è garanzia di una società più sicura e pacifica; anzi, probabilmente è vero il contrario, visto lo stretto legame esistente tra un alto tasso di incidenti da arma da fuoco e la permissività in materia di detenzione" riflette il gestore.

Whittaker ricorda infatti che nessuno ha la certezza che le società quotate in cui investe vendano armi esclusivamente per fare del “bene”, né ha modo di verificare che fine facciano realmente. Non c'è dubbio che la discussione riemergerà in futuro. "Considerare punti di vista diversi ci costringe a prestare attenzione ai cambiamenti in atto e a chiederci se le nostre decisioni siano ancora valide e basate sulle evidenze. Alla fine, ne usciremo rafforzando ulteriormente le nostre convinzioni, oppure sviluppando una nuova visione più al passo con i tempi" auspica l'esperto di Robeco.