Esistono davvero i mercati emergenti?

Foto: Giorgio Fata
Foto: Giorgio Fata

“All’inizio della mia carriera nel 1993 tutti i mercati erano di frontiera. Viviamo in un mondo in cui è forte la rilevanza dei benchmark e questo porta ad episodi poco comprensibili ma a cui conseguono grandi movimenti di denaro. Il caso della Grecia, ad esempio, la cui esclusione dall’indice emerging markets è durata un solo mese a seguito della crisi del debito. Una dinamica simile si è verificata per quanto riguarda l’Argentina. Da monitorare è oggi la situazione della Cina che crescerà negli indici fino ad essere ad un certo punto esclusa”. Il racconto di John Malloy, portfolio manager Emerging Markets Strategies di RWC Partners, racchiude in poche decine di parole 25 anni di carriera e ha il pregio di lasciar intravedere la profondità di una domanda cruciale: che cosa significa esattamente mercati emergenti? Un quesito che potrebbe essere ritenuto marginale e puramente filosofico se non fosse che a partire da tale definizione si determinano composizioni di indici e flussi di investimento globali che oltre ad avere significativi impatti in termini di liquidità influenzano le valutazioni degli asset oggetto di investimento.

L’importanza della gestione attiva

“Gli indici”, afferma Antonio Peruggini, portfolio manager di Fideuram Investimenti SGR, “mostrano tendenzialmente una certa inefficienza, in particolare per quanto riguarda i mercati emergenti”. “Guardiamo ad esempio a Paesi come la Corea del Sud e Taiwan che molto difficilmente possiamo definire emergenti e che sono ancora inclusi in questa categorizzazione”, aggiunge. “È importante dunque”, sottolinea inoltre, “investire attivamente per riuscire a catturare tutto il potenziale di Paesi o settori non inclusi o non correttamente rappresentati all’interno dei benchmark”. “Analizzando la composizione dei portafogli che selezioniamo è spesso possibile notare la presenza di una quota significativa di posizioni non ricomprese all’interno dei benchmark”, spiega analogamente Carlo Mogni, senior fund manager di Investitori SGR, società del gruppo Allianz. “Ci concentriamo principalmente sulla solidità del processo di investimento”, prosegue, “senza preoccuparci troppo della composizione degli indici di riferimento, anche se questi risultano certamente fondamentali per l’apprezzamento delle performance realizzate e per il controllo del rischio”.

Opportunità nascoste

“Il numero di opportunità potenzialmente nascosto dai benchmark è molto alto”, fa notare Eoin Donegan, portfolio manager, equity multi-manager strategy di Mediolanum International Funds. “Nell’individuazione di tali opportunità”, argomenta, “risiede il valore che riconosciamo all’approccio attivo e che ricerchiamo attraverso strategie unconstrained non limitate da un rigido riferimento agli indici esistenti”. “Penso che in senso assoluto i benchmark siano imperfetti ma necessari per avere un riferimento nella costruzione di portafoglio e offrire un parametro per il calcolo del profilo di rischio da comparare con quello del cliente”, sostiene Filippo Valvona, fund selector della divisione Fund Research and Manager Selection di Amundi SGR, sottolineando inoltre la necessità di riconoscere l’evoluzione e la sempre maggiore accuratezza degli indici. “Il punto di riferimento offerto è dunque certamente importante”, conclude, “anche se non garantisce il miglior modo di accedere alle opportunità presenti nell’asset class, che rimane ad appannaggio di una gestione genuinamente attiva”.