ETF attivi flop o possibile rinascita?

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Tim Reckmann, Flickr, Creative Commons

Tratto dalla rivista numero 30 Funds People - sezione ETF.

A fine aprile gli ETF attivi rappresentavano solo l’1% del totale delle masse gestite in Europa in prodotti indicizzati, stando ai dati di ETFGI. Vale a dire circa 8,6 miliardi di euro contro 665 miliardi. Oggi contiamo solo tre ETF attivi su Borsa Italiana e 41 in tutta Europa. La domanda, dunque, sorge spontanea: perché questi prodotti non hanno riscontrato interesse da parte degli investitori? Ci sono possibilità di successo?

Come funzionano

Gli ETF attivi sono strumenti sofisticati che non replicano fedelmente un indice, ma si pongono l’obiettivo di generare un extra-rendimento rispetto al mercato di riferimento. Per Vanguard, ad esempio, “investimento fattoriale significa gestione attiva, con l’obiettivo di individuare sistematicamente i premi associati a uno o più fattori”, spiega Simone Rosti, responsabile per l’Italia dell’asset manager. “Il nostro approccio, infatti, prevede l’utilizzo di modelli quantitativi proprietari per selezionare, nell’ambito di un universo di investimento, i titoli che meglio rappresentano l’esposizione ai diversi fattori. Questi modelli non prevedono un ribilanciamento periodico, ma rispondono ai cambiamenti nei prezzi dei titoli e alle opportunità di mercato. Ciò fa sì che i nostri ETF attivi mantengano l’esposizione ai fattori in tutte le fasi di mercato. Tutti i modelli quantitativi di Vanguard - continua Rosti - sono dotati di un attento sistema di controllo del rischio che assicura la diversificazione e la liquidità del portafoglio, oltre a minimizzare i costi”. 

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Possibili chance

Ritornando  al quesito iniziale, Marcello Chelli, referente per Lyxor ETF in Italia, afferma che, in teoria, per ogni fondo attivo è possibile prevedere una share class o un fondo clone che venga quotato su un mercato regolamentato o su un’altra piattaforma di negoziazione (ad es. un MTF), trasformando così il fondo attivo in un ETF attivo. “Vi sono, però, alcuni elementi da tenere in considerazione. In primo luogo, è necessario gestire la potenziale disintermediazione dei canali distributivi tradizionali a favore del canale Borsa dal momento che, in genere, lo strumento quotato presenta un TER inferiore. Inoltre, con la quotazione si risparmiano i costi di distribuzione ma, al contempo, bisogna prevedere comunque costi - consistenti - di marketing e pubblicità. Infine, l’interesse per una delle due forme di gestione (attiva o passiva) non dipende dalla forma in cui esse vengono presentate: se un investitore non è interessato ad uno specifico strumento a gestione attiva, con la quotazione la natura dello strumento non viene modificata o resa più interessante. In generale - aggiunge l’esperto - si può supporre che gli ETF attivi potrebbero avere maggiori chance se, in un ipotetico futuro, si deciderà di distribuire i fondi attivi principalmente attraverso il canale Borsa, impiegando reti distributive basate su una logica fee only non più legata ai rebate di una parte delle management fee dei fondi attivi”.

D’altro canto, Rosti attribuisce le motivazioni del mancato successo alla complessità dello strumento stesso. Crede, infatti, che rispetto alla tradizionale gestione passiva, sia sicuramente necessario più tempo per illustrare il funzionamento degli ETF attivi affinché questi possano essere inseriti nei portafogli degli investitori. “Questo sforzo è sicuramente maggiore nei confronti di chi vuole controllare il track record e la capacità del gestore di conseguire determinate performance. E la situazione si complica ulteriormente nel caso di investimenti fattoriali, poiché la loro implementazione può risultare difficile dal punto di vista dell’asset allocation, soprattutto rispetto al timing. Tramite i propri ETF attivi, Vanguard offre la possibilità di accedere a strumenti in grado di combinare la strategia di investimento fattoriale, i vantaggi della gestione attiva e quelli della liquidità in tempo reale di un ETF”, commenta il responsabile per l’Italia dell’asset manager.

Chi punta sugli ETF attivi

Tuttavia, ci sono società come J.P. Morgan AM che hanno deciso di scommettere su questi strumenti che, nel contesto attuale, possono offrire un’ottima alternativa agli investimenti passivi, sia nel mercato azionario che nel mercato obbligazionario. L’asset manager internazionale, infatti, costituisce oggi il principale player, con un’offerta totale di 12 prodotti, di cui sette lanciati per la prima volta nell’ultimo trimestre 2018. 

“Gli ETF attivi come i nostri REI offrono un’esposizione complessiva molto vicina all’indice di riferimento, ma si focalizzano nella ricerca delle opportunità più interessanti da un punto di vista fondamentale, di rischio e di valutazioni relative identificate dai nostri team di ricerca proprietaria, evitando all’investitore ulteriori rischi non compensati”, spiega Roberta Gastaldello, head of Italian ETF Distribution di J.P. Morgan AM. “Crediamo fortemente che l’ETF rappresenti un veicolo trasparente, economico e veloce, e progressivamente questi vantaggi verranno sempre più riconosciuti dagli investitori. Come abbiamo fatto finora, attraverso il veicolo dell’ETF punteremo a sfruttare le nostre competenze gestionali e a offrire prodotti innovativi”, conclude.