L'analisi di Mark Nichols e Mark Heslop, European Investment manager di Jupiter che spiegano perché investire in azioni europee non significa investire in Europa.
Prospettive economiche critiche in Europa ma le società potrebbero fornire ragioni per essere ottimisti. Questa è la view di Mark Nichols e Mark Heslop, European Investment manager di Jupiter che spiegano: "Una guerra vicina, un'infrastruttura energetica inadeguata, un'inflazione record, consumi in affanno e tassi d'interesse in aumento. Per nostra fortuna, investire in azioni europee non significa investire in Europa". Infatti la view del consensus è negativa per l'economia europea, "ma noi pensiamo che le prospettive per le società e il mercato azionario europeo siano positive. Se il mercato passasse da una visione macroeconomica negativa a un'attenzione particolare per l'andamento delle singole società, a nostro avviso le aziende di qualità esposte a trend di crescita di lungo periodo dovrebbero sovraperformare", spiegano i due professionisti di Jupiter.
Secondo i due esperti ci sono dei punti su cui è necessario porre attenzione. In primo luogo, le difficoltà e le restrizioni legate al Covid in tutto il mondo sono diminuite e molto meno vincolanti rispetto ai periodi precedenti. La Cina potrebbe essere l'eccezione, ma anche lì ci sono prove di un aumento della mobilità, compresa la riduzione della quarantena.
Inoltre, a detta di Nichols e Heslop, le aziende indicano sempre più spesso che le perturbazioni delle catene di fornitura nei vari settori industriali si stanno attenuando e, di conseguenza, le tariffe di trasporto e spedizione stanno diminuendo.
"L'inflazione e i tassi di interesse si sono storicamente mossi in modo ciclico. I nuovi paradigmi sono pochi e distanti tra loro. L'aumento dei tassi di interesse cede inevitabilmente il passo al loro calo, proprio come il giorno segue la notte", commentano i due professionisti.
Invece, guardando alle valutazioni, "in tutto il mondo i prezzi delle azioni sono crollati, e in Europa il fenomeno è stato più drammatico che in altre regioni. I titoli europei sono quotati con un significativo ribasso rispetto agli Stati Uniti, circa il 50% in meno su base price-to-earning (una misura del valore calcolata dividendo il prezzo delle azioni di una società per i suoi utili per azione)", spiegano. Infatti lo sconto dei titoli europei rispetto a quelli statunitensi è il più ampio degli ultimi cinque anni e, secondo i due, è estremo.
Inoltre c'è da tenere in conto che alcune fonti di crescita sono veramente strutturali, ovvero riflettono un cambiamento su larga scala. "Ad esempio, tra il 2010 e il 2020 la quantità di dati creati, consumati e archiviati in tutto il mondo è cresciuta di circa il 3.000%. Le proiezioni future indicano che è improbabile che questa espansione si inverta o rallenti a breve", proseguono.
Un ultimo aspetto è quello legato alla sostenibilità e nella fattispecie al cambiamento climatico. "Si stima che gli edifici siano responsabili di oltre il 40% delle emissioni globali di anidride carbonica. Le normative e le spese governative in Europa e negli Stati Uniti riflettono già la necessità di migliorare il patrimonio edilizio esistente e di garantire una maggiore efficienza dei nuovi edifici. Pertanto, le aziende in grado di creare prodotti e servizi che contribuiscano a migliorare l'efficienza degli edifici dovrebbero essere in grado di trarne vantaggio", commentano i due..