Fixed income, vince il blending tra attivo e passivo

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Perché scegliere tra gestione attiva e passiva, quando la loro combinazione può migliorare l’efficienza dell’asset allocation? Esiste il mito della netta distinzione tra queste due soluzioni, ma in realtà gli investitori concordano sul fatto che la giusta integrazione di attivo e passivo possa giocare un ruolo cruciale nel portafoglio, soprattutto nell’ambito del fixed income. In occasione della tavola rotonda sul ruolo del reddito fisso nei portafogli, abbiamo chiesto a diversi decision maker di spiegarci come avviene questo processo di blending.

Andrea_Favero_articoloIn un contesto di diversificazione sempre più complicato, in cui la correlazione inversa tra equity e bond si è fortemente indebolita sono necessarie nuovi fonti fixed income che possano aiutare a colmare tali mancanze. In questo caso l’ETF può fare la differenza. “L’ETF infatti consente un accesso rapido e liquido a fonti di diversificazione meno convenzionali, per esempio a determinati segmenti di curva come i fallen angels o a specifici titoli, come i bond cinesi”, commenta Andrea Favero, Head of Asset Managers di BlackRock Italia. Da BlackRock hanno assistito ad una crescente presenza di blending attivo e passivo all’interno della parte obbligazionaria dei portafogli. “Notiamo una tendenza a esporsi tramite ETF a fattori macro e di stile, mentre la componente idiosincratica e di bond selection viene ancora affidata alla gestione attiva”, aggiunge il manager. L’esperto sottolinea inoltre che l’utilizzo dello strumento passivo varia anche a seconda della tipologia di investitori. Mentre negli istituzionali avviene in maniera più tattica e in un’ottica di liquidity management, andando a sostituire in alcuni casi anche l’utilizzo di derivati. Nel mondo fund of funds invece l’uso avviene in maniera più strategica e di portfolio transition.

Integrazione di attivo e passivo

Per la maggior parte degli investitori si parla di una vera e propria integrazione di prodotti a gestione attiva e passiva per dare un valore aggiunto al portafoglio. Con i tassi di rendimento bassi, è diventato prioritario una gestione più efficiente dei costi, ciò giustifica il maggior uso di ETF sia a livello tattico, che strategico e in forma di liquidity management. Inoltre l’utilizzo di strumenti passivi consente anche una maggiore gestione del rischio, andando a separare il rischio di beta puro da quello più alpha. Un tale approccio è di recente applicazione anche nel mondo fixed income.

Davide_Guzzi_Eurizon__1_Secondo Davide Guzzi, responsabile Prodotti Flessibili a finestra e Strategie di Overlay di Eurizon Capital SGR, esistono due driver per il blending: ciclici e strutturali. I primi sono di origine macro: “in condizioni di alta dispersione dei rendimenti e basso contagio degli stessi, come è stato il 2020 sui mercati azionari, si crea terreno fertile per il gestore attivo, dove può generare alpha; nel caso opposto può essere più difficile creare valore e quindi più conveniente usare ETF”, spiega l’esperto. “Mentre i driver strutturali sono legati a mercati caratterizzati da una forte segmentazione, come alcuni mercati obbligazionari, i real asset e gli alternativi, dove l’analisi e la selezione dei titoli fa davvero la differenza”, aggiunge.

Mosca_Federico_2“Il concetto di integrazione aiuta a costruire un portafoglio attivo che è diventato sempre più complesso, proprio perché si ricerca diversificazione su più spettri”, dichiara Federico Mosca, senior portfolio manager di Arca fondi SGR. “Accedere a strumenti che per esempio ci permettano di frazionare l’esposizione a singoli emittenti oggi è possibile tramite gli ETF, contribuendo ad incrementare la liquidità e la flessibilità del portafoglio “, afferma il gestore.

Francesco_MoreschiOggi il contenimento dei rischi, soprattutto in alcune aree dell’universo obbligazionario è cruciale. “È vero che un ETF dà accesso a segmenti particolari con una maggiore liquidità, ma è altrettanto vero che questa può cambiare repentinamente”, fa notare Francesco Moreschi, senior portfolio manager Multi-Manager di Anima SGR. “Quindi l’efficienza di uno strumento passivo va sempre valutata anche in termini di profondità del mercato sottostante e del differenziale bid-ask. Per questo motivo, può essere utile, di tanto in tanto, testare la liquidità degli strumenti passivi in portafoglio, facendosi fare dei prezzi da chi è market maker, soprattutto se si ha in previsione di operare su size relativamente grandi”, continua. “Detto questo, le gestioni attive rimangono fondamentali nelle strategie a spread e ogni qualvolta si voglia adottare un approccio total e absolute return al reddito fisso”, conclude.

Gianluca_Piacenti__1_Gianluca Piacenti, head of Funds of Funds di Amundi SGR sostiene che oggi esiste un bias intrinseco nel mercato. “La capacità di generare alpha è spesso asimmetrica tra le fasi di forte volatilità e quelle di trend, i gestori attivi tendono a performare meglio nelle fasi di bull market, rispetto a quelle di discesa, al netto di orientamenti gestionali di stile. Questo ci permette di modulare il portafoglio, indicando quindi quanto allocare alla gestione attiva e quanto a quella passiva nelle diverse fasi di mercato”, spiega. Tra strumenti attivi e passivi è in atto un processo di integrazione all’interno dei portafogli, “perché ciò porta ad una combinazione di scelte top down per gli strumenti a replica e bottom up per la creazione di alpha”. Peraltro anche e la componente costi sta assumendoun ruolo sempre più importante, , sottolinea.