Fondazioni di origine bancaria, la gestione del patrimonio come leva di sviluppo

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Toa Heftiba (Unsplash)

Il trentennale della nascita delle fondazioni di origine bancaria come occasione di confronto sul loro operato e sulle prospettive future. Itinerari Previdenziali, nel convegno virtuale “Territori, innovazione e sviluppo: le Fondazioni di origine Bancaria come generatori di valore” individua appunto i tre campi di azione e propone una riflessione con le entità, per illustrare i passi compiuti fino a oggi e tracciare le linee dello sviluppo futuro. Lo stesso Francesco Profumo, presidente di ACRI e Compagnia Sanpaolo nell’introdurre i lavori sottolinea come la domanda da farsi oggi sia cosa saranno le fondazioni fra 30 anni? “Cambieranno le modalità operative, i numeri, i bisogni a cui rispondere e i campi in cui intervenire”. Profumo indica come non ci siano oggi risposte esaustive, ma persistano due certezze: “La propensione all’innovazione e il dialogo costante con le comunità di riferimento”.

La centralità delle fondazioni nell’attuazione del PNRR

Appunto le due certezze che offrono una base per un tema che negli ultimi mesi è intervenuto con forza nell’operato delle fondazioni: l’attuazione del piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). “L’atterraggio dei progetti del piano sui territori è un’operazione complessa” afferma il presidente di Acri, “per questo sono arrivate numerose richieste d’aiuto e proposte di collaborazione da parte di enti locali (soprattutto i piccoli comuni si trovano in difficoltà per l’assenza di competenze progettuali) e in sede ministeriale”. Profumo ricorda come le fondazioni abbiano già attivato singolarmente interventi destinati a favorire la progettazione PNRR per oltre 30 milioni di euro. “Inoltre si stanno concretizzando due grandi iniziative nazionali: la prima riguarda la collaborazione con Cassa Depositi e Prestiti in favore dei piccoli comuni, la seconda con il ministero per l’Innovazione tecnologica e la Transizione digitale”.

Quale risposta dalle fondazioni

Territorio, innovazione e sviluppo ritornano come perimetro di riflessione nella tavola rotonda con le fondazioni, in cui Giorgio Righetti, direttore generale di ACRI, invita gli ospiti a indicare come queste tre dimensioni siano prese in considerazione nella gestione dei patrimoni. Un primo spunto arriva da Antonella Ansuini responsabile investimenti e gestione finanziaria di Fondazione Cariparo, che sottolinea come una maggiore connessione degli investimenti con le tre dimensioni indicate nel titolo del convegno arrivi in realtà dal lavoro “sull’integrazione dei criteri di investimento responsabile”. Per avere una panoramica concreta di questa connessione Ansuini indica l’immagine del portafoglio con un bersaglio a centri concentrici in cui “la focalizzazione di questi tre elementi cresce ma mano che ci si avvicina al centro del cerchio”. Mentre Enrico Cantarelli, consigliere di amministrazione di Fondazione Cariplo concentra l’attenzione su come calibrare la tutela del patrimonio con l’impatto sull’area di riferimento. “Le fondazioni agiscono per realizzare in particolare due obiettivi: dirigere le risorse che si mettono normalmente a disposizione del territorio e coinvolgere altre risorse, perché le prime non sono sufficienti a realizzare gli obiettivi che ci siamo dati, incidentalmente è quanto sta avvenendo anche con il PNRR”.
Matteo Carradori Finance Manager Fondazione CR Pistoia e Pescia, si ricollega ai tre spunti iniziali indicando come la Fondazione “stia attraversando un momento di profonda riflessione su questi temi” e ricorda come rispetto alle scelte fatte in passato (ad esempio nel social housing), “oggi le esigenze sono cambiate, il territorio, con le sue necessità, è alla ricerca di una nuova identità, e questo passa anche dallo sviluppo e dall’innovazione”. Il territorio diventa un punto centrale anche nell’intervento di Carlo Mannoni, direttore generale Fondazione di Sardegna. Il DG definisce ‘complessa’ la “matrice che deve mettere insieme il patrimonio, la capacità erogativa e la gestione corretta del rischio su un determinato territorio” e, a partire da questo spunto, indica come i private market oggi siano “non un’opportunità ma una necessità”. Mannoni e ricorda come la fondazione sia “storicamente impegnata su questo fronte”, in particolare con investimenti in Venture Capital che, “in termini di strategie di sistema ha dimostrato di essere vincente. Su questo speriamo che anche sul fronte PNRR possa definirsi uno scenario simile”. Il focus sul territorio si conferma, infine, nella riflessione di Nicola Solari, responsabile finanza della Fondazione CR Lucca, che insiste ancora una volta sull’importanza degli ESG nel perseguimento degli obiettivi della fondazione e sottolinea che “investimenti che riescono a interconnettere le tre tematiche non sono facili in territori come il nostro ma in determinati casi abbiamo cercato di collegare i tre termini”. Un esempio è quello legato all’investimento in startup e alla connessione con l’imprenditoria locale.

Investimenti nel territorio, un problema cronico

Il tema degli investimenti a livello territoriale si prepara, dunque, a nuove sfide anche di carattere organizzativo e applicativo man mano che si definiscono le cosiddette “milestone” del PNRR. “C’è un problema di investimenti a livello territoriale che è un po’ cronico”, afferma Andrea Montanino chief economist di Cassa Depositi e Prestiti e presidente del Fondo Italiano d’Investimento, “nel 2009 rappresentavano il 3,7% del PIL, ora (ma il dato è precedente alla pandemia) il 2,7%; si è perso un punto di PIL all’anno di investimenti pubblici, questo ha amplificato un divario che già conoscevamo, quello tra Nord e Sud”. A questo si somma il tema della scarsità delle risorse per gli enti locali. “Dieci anni fa un terzo della spesa in contro capitale pubblica passava per i comuni, oggi è il 17%”. A tal proposito l’economista sostiene che si pongono due temi: “Come accelerare gli investimenti (riequilibrio territoriale) e come aumentare la quantità di investimenti pubblici sul territorio”. In questo il PNRR è visto come la grande occasione sia per la dimensione dell’intervento, sia per il metodo. In definitiva “quando valuteremo il successo del PNRR – conclude Montanino – non dovremo guardare quanti soldi sono stati spesi ma a cosa è stato fatto”.