Presentato ieri a Milano l’Osservatorio di Assogestioni sui risparmiatori italiani. Si riduce il gap di genere, i Millennials investono più in azionario ma meno dei coetanei europei. L’età media è 61 anni, 49 mila euro l’investimento medio.
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L’investimento in fondi comuni conferma la sua forza tra gli investitori italiani. Tuttavia tracciare il profilo del sottoscrittore tipo si rivela complesso una volta spuntate due variabili: età e provenienza geografica. L’investitore italiano ha in media 61 anni e vive al Nord, questo è in sintesi il dato più omogeneo a emergere dall’Osservatorio annuale sui sottoscrittori di fondi comuni, curato dall’Ufficio Studi di Assogestioni e presentato ieri, 2 luglio, in una conferenza stampa presso la sede milanese dell’associazione (dati aggiornati a fine dicembre 2023). Se si entra nel dettaglio, tuttavia, emergono peculiarità date dal tipo di fondo che si va a sottoscrivere (sia esso di diritto italiano o estero), dalla forma di investimento (si assiste a una crescita dell’accesso all’investimento tramite PAC) e dall’asset allocation (gli obbligazionari si mantengono saldi in testa alle preferenze tra i fondi italiani).
I numeri
L’Osservatorio descrive un panorama in cui sono 11,1 milioni i sottoscrittori di fondi comuni: circa il 20% della popolazione (il 18,8% per la precisione) per 546 miliardi di masse investite di cui 199 miliardi in fondi di diritto italiano (il 99% del campione censito da Assogestioni) e 347 miliardi di fondi di diritto estero (il 71% del campione), per un investimento medio di 49 mila euro. Riccardo Morassut, senior research analyst Ufficio Studi, Assogestioni osserva tuttavia come il patrimonio si concentri sul quartile più alto, “i cui sottoscrittori detengono circa tre quarti dell’investimento totale”.
Dai dati emerge, infatti, come l’investimento mediano si posizioni in un intervallo compreso fra i 13 mila e i 21 mila euro a seconda della tipologia del fondo. I risultati, specifica Alessandro Rota, direttore dell’Ufficio Studi, “sono in linea con le stime Bankitalia che attribuiscono al 30% delle famiglie più abbienti l’80% della ricchezza finanziaria complessiva”. Tuttavia, prosegue l’esperto, “l’elevato numero di italiani che scelgono i fondi allocando anche cifre più contenute ci dimostra come questo sia uno strumento realmente democratico”.
La popolazione
L’accesso agli strumenti del risparmio gestito, dunque, si riflette sui numeri. Sebbene, come anticipato, la generazione dei baby boomer sia quella più rappresentata numericamente (con un investimento medio di 58 mila euro), la generazione X rappresenta la seconda grandezza (29% con un investimento medio di 42 mila euro). Le generazioni più anziane (ultra 78enni) rappresentano il 16% (con un investimento medio di 66 mila euro per i nati tra il ‘28 e il ‘45 e di 83 mila euro per i risparmiatori nati prima del 1928), mentre la partecipazione di Millennials si attesta al 12% (investimento medio 21mila euro) e quello della Generazione Z a un 3% (13 mila euro di investimento medio).

Nel complesso, gli under 40 rappresentano il 15% della popolazione, dato in crescita di due punti rispetto alla rilevazione precedente, con un aumento corrispettivo del patrimonio detenuto passato dal 5 al 6% del totale, a “conferma che gli under 40 stannogradualmente iniziando ad aumentare la quota investita in fondi”, rimarca Morassut. Nel dettaglio di genere, invece, la forbice maschi-femmine è più ridotta sia in termini di accesso all’investimento (il 53% degli uomini contro il 47% delle donne) sia in termini di investimento medio (51mila euro per gli uomini e 47 mila euro per le donne), dati per cui gli uomini detengono il 55% dell’investimento complessivo e le investitrici il restante 45 per cento. Se si guarda a qualche decennio fa (il primo osservatorio è del 1996) “il gap era di quasi 20 punti”. La tendenza, dunque, vede una progressiva contrazione del divario tanto da indicare come l’industria del risparmio gestito sia “più avanti rispetto ad altre indicazioni sociodemografiche”.

La forma di investimento più gettonata resta ancora il versamento unico (PIC) con il 62% degli accessi ai fondi comuni, mentre la quota dei sottoscrittori di piani di accumulo (PAC) si attesta al 21% e un 17% ha un approccio misto all’industria. Ebbene, nel dettaglio dell’analisi emerge come, nonostante i giovani abbiano minore disponibilità economica (e meno peso sul totale delle masse) hanno un approccio “più efficiente agli investimenti”, come sottolinea Morassut che indica come la quota dei sottoscrittori di PAC tra Millennials e Generazione Z superi il 50 per cento. In prospettiva, dunque, si potrebbe assistere a una crescita di questa forma di investimento.
Giovani meno avversi al rischio (ma più prudenti dei coetanei europei)
Nonostante un approccio più efficiente, però, gli under 40 sono più avversi al rischio rispetto ai loro coetanei europei. Per comprendere questo dato occorre operare un ulteriore approfondimento in merito all’asset allocation. E alla tipologia di prodotto. Nei fondi di diritto italiano la fanno da padrone i fondi obbligazionari (36%) seguiti dai flessibili (34%), mentre nel caso dei fondi di diritto estero si assiste a una crescita della componente azionaria che si attesta al 50% per i fondi cross border.
In italia, tuttavia: “I giovani investono di più in azionario ma in media meno rispetto all’estero”, prosegue Morassut che indica come “la componente azionaria sarebbe da alzare del 20-30%”. E le donne si confermano meno avverse al rischio (“anche questo è un dato storico che ci portiamo avanti da tempo”).
Home bias
Lo studio del portafoglio dei sottoscrittori italiani per aree geografiche mostra poi una prevalenza di Europa e America, entrambe al 32%. L’allocazione all’Italia pesa per il 16% del portafoglio generale, di cui il 13% in obbligazioni e il 3% in azionario italiano. “Un 16% di home bias non è poco, considerando che Borsa Italiana pesa lo 0,6% della capitalizzazione mondiale”, sottolinea Morassut.
Sempre in tema di fondi, l’Italia si conferma il Paese europeo con la maggiore penetrazione di fondi esteri. E il peso in ambito azionario, secondo Luca Tenani, Schroders, comitato comunicazione di Assogestioni, sarebbe da ricondurre “a una capacità di offerta tendenzialmente superiore delle case estere nel caso in cui ci sia una volontà del risparmiatore a diversificare i propri investimenti sui mercati esteri”. Il dato è interessante anche per capire come la sottoscrizione di fondi italiani o esteri incida sull’asset allocation del portafoglio. L’importo medio investito, poi, è più basso per i sottoscrittori di fondi italiani (30 mila euro), più elevato per i sottoscrittori di fondi esteri (con una media di 55 mila euro per i sottoscrittori di fondi cross border). Morassut sottolinea come quella che accede ai fondi italiani “sia una clientela mass affluent, che si rivolge di più agli sportelli, i sottoscrittori di fondi esteri si rivolgono maggiormente a reti di consulenti e private banker (upper affluent)”. Dai dati emerge infatti come il 95% dei fondi italiani sia distribuito tramite gli sportelli bancari, ma il canale di distribuzione delle reti di consulenti finanziari abbia un peso maggiore per i fondi cross border, acquistati in questa modalità per il 48% e solo per il 52% tramite le banche.
Il Nord investe (e pesa)
Un ultimo punto sul quadro geografico. Come detto, la maggioranza degli investitori risiede nel Nord Italia (64%) ma la Regione con il tasso di partecipazione più alto è l’Emilia-Romagna con il 29,3%, seguita da Lombardia (27,1%), Piemonte (26,6%) e Liguria (25,1%). La Liguria si conferma invece prima Regione per investimento medio (55.212) tanto da staccare di 20 mila euro la Basilicata, in ultima posizione su questo valore. Le Regioni del Nord d’Italia sono le prime per investimento complessivo: i sottoscrittori residenti in questa area detengono il 69% del totale.
Nel dettaglio, al Nord-Ovest va il 43%, mentre al Nord-Est il 26%. Gli investitori del Sud hanno il 9% del portafoglio generale e quelli delle isole il 4 per cento.
