Fuggetta (Bayes Investments): “I principi del ‘value investing’ per puntare sulle small cap italiane”

Massimo Fuggetta News
Massimo Fuggetta, foto ceduta (Bayes)

Un impegno continuo per “distinguere il grano dal loglio”. La metafora, seppur abusata, è tuttavia calzante se comparata all’intenso lavoro di cernita per la selezione delle società da inserire in un fondo di investimento di lungo periodo. Così descrive l’attività alla base del Made in Italy Fund, Massimo Fuggetta, CIO di Bayes Investments, raggiunto da FundsPeople per fare il punto sugli investimenti sulle small cap italiane in questo periodo di turbolenza dei mercati internazionali. Il fondo, sub-fund di Atomo Sicav, gestita dalla lussemburghese Casa4Funds SA, nasce nel 2016 con un obiettivo, come anticipato, molto focalizzato su un solo mercato (quello italiano) e su un solo segmento (le small cap) che, ricorda Fuggetta “dal punto di vista numerico rappresenta la maggioranza delle società quotate in Italia”.

Su circa 400 società quotate, tre quarti sono small cap con una capitalizzazione inferiore a un milione di euro “ma rappresentano soltanto l’8% del valore complessivo del mercato”. Un numero preponderante dal punto di vista dei nomi, sottolinea l’esperto, ma limitato come capitalizzazione. “In questo universo variegato il nostro obiettivo è selezionare le migliori società sulla base dei principi del ‘value investing’, ossia sull’esistenza di una discrepanza significativa tra il prezzo di mercato del titolo e quello che noi riteniamo essere il valore fondamentale dell’azienda”. Quando questa forbice è abbastanza ampia da riempire quello che il CIO definisce come “margine di sicurezza” la società entra a far parte del portafoglio.

Dal momento del lancio (17 maggio 2016) al terzo trimestre di quest’anno, il fondo ha totalizzato un rendimento del 56,1 per cento. Performance interessante che, tuttavia, risente della volatilità dei mercati di quest’anno: il MIF ha perso un 8,6% nel periodo luglio-settembre 2022 ma se paragonato ai peer, mostra una performance ancora forte, considerando che l’universo dei fondi azionari italiani nell’intero periodo in considerazione ha visto un rendimento medio ponderato del 36,4 per cento.

PIR compliant e “long term investment”

“Quello che importa per noi non è il trimestre, ma avere un rendimento positivo nel corso di almeno cinque anni”, afferma Fuggetta. Periodo di tempo che corrisponde all’orizzonte del vantaggio fiscale dei PIR (ossia l’esenzione totale dalla capital gain tax, che in Italia è del 26%). Nello specifico, infatti, il MIF rispetta i “paletti” dei PIR alternativi, ma “occorre precisare – continua l’esperto – che per avere i benefici fiscali non è sufficiente essere investiti nel fondo: il fondo deve entrare in un ‘conto PIR’. Tuttavia, nonostante l’apertura di mercato rappresentata dalla normativa sui PIR alternativi, Fuggetta rileva una sorta di “barriera” all’investimento in questi strumenti e, in definitiva alle società che offrono questi fondi. “L’introduzione dei PIR alternativi nel 2019 ha aperto il ventaglio di possibilità dell’investimento in small cap: si possono investire fino a 300 mila euro l’anno in questi strumenti e l’investimento è concentrato soprattutto nelle società a bassa capitalizzazione (fino al 70% del fondo) quindi niente MIB 40 o MID, e questo è importante per le stesse società che hanno interesse alla domanda sui loro titoli”. Qui entra in gioco la criticità per fondi “piccoli e focalizzati come il nostro”, afferma il CIO, perché spesso, “per motivi dimensionali e di accordi commerciali, non rientriamo nel parterre dei fondi in vendita da parte delle società di distribuzione”. Questa barriera avrebbe tuttavia “una soluzione semplice con i fondi quotati, il mercato ATfund (in cui c’è il nostro fondo) in cui chiunque con un conto titoli può comprare il fondo direttamente dal suo conto”.

Si allarga il mercato delle small cap italiane

Intanto si allarga il mercato delle small cap, con l’andamento delle IPO in Italia che viaggia parallelo all’andamento della normativa. Ragion per cui si è assistito a oscillazioni importanti negli anni. “Abbiamo visto una ripartenza nel 2019 – afferma Fuggetta -, una frenata nel 2020 e poi un nuovo slancio nel 2021. Questo movimento, che noi seguiamo da vicino, ha portato anche a un aumento delle nostre posizioni: siamo partiti nel 2016 con 30 titoli, ma oggi ne contiamo più di 40 proprio perché abbiamo partecipato a diverse IPO. Questa attività ci ha portato a ridurre la capitalizzazione media del nostro portafoglio (vendendo società che avevano dimensioni maggiori) e concentrandoci su società più piccole e con maggiori margini di crescita. Cerchiamo società con buone prospettive di crescita coniugate con un livello importante di profittabilità”. Questo lavoro di selezione ha dato i suoi frutti negli anni, “e oggi nel nostro portafoglio sono presenti società con un prezzo superiore fino a sei o sette volte quello inizialmente pagato”.

Tutte caratteristiche che collocano il Fondo Made in Italy come ‘long term investment’: “Siamo il contrario dei trader, abbiamo in portafoglio titoli presenti fin dal lancio del fondo e siamo caratterizzati da un turnover molto basso”. “Se un’azienda per noi è attraente in base a determinate caratteristiche, lo è ancora di più se il prezzo di mercato scende. Ovviamente siamo sempre molto attenti nel verificare se il calo di valore sia giustificato o meno, ma il nostro è un assessment di lungo periodo, di conseguenza non siamo reattivi ad andamenti di breve periodo”.

Nei primi sei mesi dell’anno, inoltre, molte delle società in portafoglio hanno riportato (“salvo parziali eccezioni”) numeri in crescita sia nei ricavi sia nei profitti, “quest’anno dunque, il gap che dicevamo si è ampliato. Questo non vuol dire che sarà riassorbito domani o tra sei mesi, ma prima o poi sarà riassorbito con un adeguamento dei prezzi, perché i valori delle nostre società - conclude Fuggetta - sono robusti e non soggetti a cambiamenti improvvisi”.