Gestione attiva vs. passiva: come generare alpha con i mercati emergenti?

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Schroders Studio, Flickr, creative commons

I mercati emergenti attraggono ormai molti investitori, ma al tempo stesso spaventano perché troppo incerti. Chi vuole posizionarsi su questa asset class, si chiede come prima cosa se fare affidamento su un gestore attivo o acquistare un prodotto passivo che replichi l’indice di mercato. In occasione dell’International Media Conference del 2018 di Schroders, Kirsty Mclaren, client portfolio manager dell’asset manager inglese, ha evidenziato una serie di benefici che derivano dalla gestione attiva di un fondo emerging markets. L’esperta non lascia spazio a molti dubbi.

Mclaren ha spiegato che “se si confrontano i rendimenti ottenuti dall’universo dei principali fondi emerging markets con quelli dell’indice MSCI EM, si rileva che negli ultimi 15 anni questi hanno sovraperformato l’indice. Dunque essere attivi permette di essere più competitivi, soprattutto nei mercati emergenti. Ci sono vari modi per generare alpha, in Schroders ci focalizziamo sulla country e stock selection, basata sull’analisi dei fondamentali, non consideriamo quindi i singoli settori”.

“Occorre tenere bene a mente che i mercati emergenti sono più inefficienti di quelli sviluppati, ma nonostante la dispersione dei rendimenti nei fondi attivi sia molto elevata (in media 102%), durante il periodo della crisi si è contenuta intorno al 50%. Questo significa che con un’attenta analisi è sempre possibile scegliere il titolo giusto che generi alpha. Nel periodo che va dal 2003 al 2017, i Paesi che hanno segnato le performance maggiori sono stati la Cina, seguita da Brasile e India, cioè quelli in cui la probabilità di cogliere le opportunità più interessanti erano maggiori”, aggiunge Mclaren.

Un altro aspetto fondamentale che fa la differenza in una gestione attiva degli emergenti è l’analisi delle compagini sociali. “Il 30% delle società nell’indice MSCI EM è una SOE (State Owned Company). Per noi è importante conoscere la struttura interna delle società in cui investiamo per avere accesso ad una serie di informazioni essenziali. In questo modo è possibile fare delle valutazioni anche secondo i criteri ESG, che incrementano la possibilità di avere ottimi rendimenti attesi. Infatti il 70,8% degli studi sui fattori ESG ha evidenziato un impatto positivo sulle performance degli emerging markets, contro solo il 4,2% che hanno segnalato un impatto negativo”.

Tuttavia i mercati emergenti hanno quello che gli inglesi chiamano ‘elephant in the room’, un grosso problema rappresentato dal mercato cinese. La Cina è il secondo mercato più grande dopo gli Stati Uniti, su cui oggi gli investitori si stanno focalizzando tanto; ma proprio qui occorre essere molto selettivi, spiega l’esperta. “L’apertura del mercato cinese ha permesso agli investitori stranieri di accedervi più facilmente, ma i movimenti azionari sono dominati principalmente da investitori retail. Ciò comporta maggiore volatilità, a cui si aggiunge a complicare la situazione una regolamentazione ancora poco chiara”. Investire sull’indice cinese sarebbe da imprudenti, perché gli investitori si lascerebbero trascinare dalle correnti, senza riuscire a cogliere le vere opportunità che esso offre.