Gestione passiva o gestione attiva? Le due facce complementari dei portafogli

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Dalla MiFID II alle strategie d’investimento, passando per gli investimenti socialmente responsabili. Sono solo alcune delle tematiche trattate nella due giorni del FeeOnly, l’evento nazionale dedicato alla consulenza indipendente e organizzato da Consultique. Al Palazzo della Guardia di Verona l’attenzione si è anche focalizzata anche sulle strategie passive e attive, che in una round table moderata da Funds People, hanno finito per vedersi come complementari. Come ricorda Mauro Giangrande, head of Passive Distribution Southern Europe di Deutsche AM, senza dubbio la crescita esponenziale degli ETF in Europa conferma come questi prodotti “si stiano sempre più affermando nei portafogli degli investitori”. Una crescita che, continua l’esperto, è più visibile nella clientela istituzionale che in quella retail, soprattutto perchè il modello di distribuzione in Italia si basa ancora sulle retrocessioni. Secondo Giangrande quindi, MiFID II sarà un’ottima opportunità per lo sviluppo della gestione passiva, proprio perché darà più trasparenza al costo dei diversi strumenti finanziari

Se dunque la gestione passiva fa passi da gigante nel mercato, è vero anche che il merito sta anche nel gestore attivo, come afferma Cristina Mazzurana, managing director di Capital Group, tra le società più grandi al mondo nella gestione attiva.  Durante il dibattito, intitolato 'Strategie di gestione e temi d’investimento: gestione attiva, gestione passiva, Smart e SRI', la manager ha sottolineato come “la gestione passiva non esisterebbe se non esistesse un gestore attivo che semina le informazioni. La gestione passiva parte dal presupposto che tutto sia prezzato. Viceversa, anche la gestione attiva ha bisogno di quella passiva, perché riesce a motivare il gestore attivo a tenere alta l’asticella, confrontandosi con il gestore passivo”. Insomma “i due strumenti si sposano per rispondere alle esigenze del cliente”, conclude l’esperta.

Anche Roberta Rudelli, funds selector di Cordusio SIM, ritiene che entrambe siano ottime strategie da combinare per diversificare il portafoglio. “Noi utilizziamo tutti gli strumenti finanziari che il mercato offre, in base all’asset class che dobbiamo andare a coprire. Abbiamo una storia di analisi fondamentale, quindi i nostri gestori hanno sempre fatto un’analisi bottom up, conoscono le aziende e preferiscono i fondi comuni a gestione attiva”. Ci sono però dei casi in cui ci sono segmenti di mercato che non sono così facili da battere. “Qui entra in gioco un’altra logica, di maggior costo rispetto a una probabile maggior rendimento”, continua Rudelli. “In alcuni mercati i gestori attivi tendono a selezionare più o meno gli stessi titoli, e questo significa creare un portafoglio che non è molto diversificato. Questo modus operandi lo utilizzamo soprattutto per quando riguarda l’equity. Per il mondo obbligazionario invece non utilizziamo molti ETF, ma tendiamo a usare fondi flessibili con pochi vincoli per il gestore, in modo da poter catturare tutte le eventuali opportunità di mercato”.

La gestione passiva è anche responsabile

Durante la round table si è poi parlato di investimenti SRI, che stanno pian piano prendendo piede anche nella gestione passiva. Per Alessandro Bonardi, Passive & ETF specialist sales Italy di UBS , investire su prodotti SRI, significa mettere l’accento sulla governance, sull’ambiente e sulla parte sociale. “Questo permette agli investitori di ridurre il rischio, pur mantenendo un’esposizione a un mercato tradizionale, concentrando l’attenzione sul rischio rendimento”, spiega l’esperto. Proprio per questo Ubs ha una grande gamma di ETF smart beta sostenibili: “negli ultimi anni i rendimenti di questi prodotti in alcuni casi hanno battuto i rispettivi mercati. Questo perché lo screening sulla governance consente di avere meno controversie e sanzioni da parte dei regolatori e quindi permette una crescita più sostenibile nel tempo delle società in cui investiamo”.