Gestori multiasset: cosa aspettarsi dalle Banche centrali nel 2018?

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Giorgio Fata

La settimana corrente si caratterizza per essere quella che racchiuderà le ultime riunioni del 2017 delle Banche centrali di tutto il mondo. Dopo la Fed (che ha alzato i tassi di 0,25 punti base portandoli all'1,25%-1,50%), infatti, spetterà alla BCE e alla Bank of England riunirsi, le quali, secondo il pensiero comune dei mercati, non dovrebbero prendere decisioni sulle rispettive politiche monetarie, se non focalizzarsi maggiormente sull’aggiornamento delle loro previsioni macroeconomiche. Nella terza parte della tavola rotonda organizzata da Funds People con i gestori mutiasset di tre delle principali realtà italiane del risparmio gestito, si è discusso su quali fossero le prospettive future degli istituti centrali di tutto il mondo e cosa aspettarsi dalle prossime manovre monetarie nel 2018.

In generale, da Eurizon Capital SGR, AcomeA SGR e Symphonia SGR, sono in linea col fatto che le Banche centrali continueranno la loro graduale riduzione degli stimoli monetari. Tuttavia, Luca Corti, product specialist di Symphonia, nel fare un quadro generale sulle future manovre dei tre principali istituti centrali (Fed, BCE e BoJ), vede una politica monetaria della BCE che rimane espansiva almeno fino a settembre del 2018, con una riduzione nell’ammontare degli acquisti mensili rispetto al 2017, ma con un livello dei tassi d’interesse ufficiali invariato.

Per quanto concerne la Fed invece, Corti spiega che, a meno che non si verifichino situazioni imprevedibili, la banca centrale americana continuerà la sua politica di normalizzazione della politica monetaria, in senso moderatamente restrittivo. “Le attuali previsioni di quattro aumenti nei tassi d’interesse nel 2018 sarà però, a mio parere, tutta da verificare alla luce dei dati che emergeranno dall’economia reale. Anche per quanto riguarda la BoJ, la politica monetaria espansiva rimarrà invariata. La schiacciante vittoria di Shinzo Abe alle recenti elezioni politiche non può che preludere alla riconferma dell’attuale governatore Kuroda , o comunque di un banchiere molto vicino alla linea politica del Primo Ministro, che fa della politica espansiva della BOJ e, quindi, della svalutazione dello yen uno dei pilastri fondamentali del proprio programma. Non credo che l’attuale politica di ancorare il tasso del decennale a rendimento zero possa essere oggetto di importanti variazioni nel prossimo futuro”, conclude Corti.

Claudio Foschi, responsabile Global Strategies & Total Return di Eurizon, afferma che, a suo parere, ci sono due scenari possibili: “quello principale, è che le Banche centrali attueranno delle politiche graduali, ovvero ridurranno gradualmente gli stimoli introdotti in questi anni, sia a livello di bilancio che di tassi di interesse. Credo che questo rappresenti al momento lo scenario più probabile, soprattutto se l’inflazione non darà segnali significativi. Il secondo è quello in cui le Banche centrali potrebbero tendere, con eccezion fatta per la BoJ, a rimuovere gli stimoli indipendentemente dal livello dell’inflazione”. Per il manager, questo scenario potrebbe verificarsi principalmente per tre validi motivi:

  • il primo è rappresentato dalla volontà di ottenere margine di manovra. Secondo Foschi, infatti, in una situazione in cui i tassi di interesse sono pari a zero sarebbe difficile far fronte ad eventuali crisi finanziarie, quindi con delle politiche monetarie di questo tipo, riducendo i bilanci delle Banche centrali e rialzando i tassi di interesse entro due o tre anni, si creerebbero le basi per gestire potenziali future situazioni di crisi.
  • Il secondo motivo è invece rappresentato dalla cosidetta ‘financial stability’. “Molte Banche centrali sono consapevoli del fatto che incrementare i volumi degli asset comporta un aumento dei rischi in capo ad alcuni operatori, soggetti che di conseguenza, in questi anni, hanno fatto leva sul fatto di avere dei tassi quasi a zero per investire in asset rischiosi. Questi operatori potrebbero trovarsi in difficoltà nel momento in cui vi sia una situazione di ‘reversal’ nei mercati, proprio dal punto di vista della stabilità dei loro bilanci. Tassi più alti scoraggerebbero invece eccessi speculativi”, afferma.
  • La terza ragione è infine quella di una migliore allocazione delle risorse. “Tassi a livelli così bassi non favoriscono gli investimenti produttivi, ma bensì gli investimenti finanziari più redditizi, e ciò, alla lunga, rappresenta un problema”.

In conclusione, lo scenario centrale proposto dal manager è quello di una normalizzazione che non vada a destabilizzare il mercato e gli investitori, “perché in questo momento le Banche Centrali concordano su una tesi, ovvero che l’economia globale non è ancora ad un livello tale da poter puntare a condizioni finanziarie più restrittive rispetto a quelle attuali”, conclude Foschi.

A riflettere sul fatto che la normalizzazione dei tassi di interesse non sia ben vista è Marco Sozzi, senior fund manager di AcomeA: “la mia impressione è che molti mercati siano in qualche modo “lieti ostaggi” della repressione delle Banche centrali, mi viene in mente la sindrome di Stoccolma. Siamo quasi tutti consci del fatto che in alcuni mercati, in alcune aree, i prezzi non rispecchiano i valori dei fondamentali, ma nel contempo nessuno si azzarda, forse anche giustamente, ad andare contro gli istituti centrali”.

Da AcomeA sono tuttavia convinti che tutte le Banche centrali diminuiranno lo stimolo, in primis attraverso la riduzione quantitativa e in seguito con il rialzo dei tassi di interesse. “Prestiamo molta attenzione alla curva americana, che è caratterizzata da un appiattimento che ci fa riflettere in ordine a quanto viene prezzato in termini di crescita e inflazione di lungo periodo, e ci spinge a prestare attenzione anche al debito degli emittenti emergenti in hard currency, che potrebbero soffrire un aggiornamento al rialzo di queste aspettative”, conclude Sozzi.