Gestori obbligazionari italiani: debito emergente – hard currency vs local currency (ultima parte)

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A distanza di qualche mese dalle elezioni americane, i timori per l’atteggiamento protezionistico dell’amministrazione Trump, e quindi le rispettive politiche commerciali, si sono decisamente allentate. Tale allentamento non ha che potuto far bene all’asset class del debito dei mercati emergenti che, rispetto a otto mesi fa, vede delle prospettive notevolmente positive, date da una crescita più sostenibile, deficit delle partite correnti molto ridotti e importanti riforme in fase di slancio. Come per l’high yield, quella del debito emergente si presenta per gli esperti del settore del risparmio gestito come un’asset class, al momento, utile per le dinamiche di diversificazione dei portafogli fixed income, seppur questa risulti tuttora una componente affollata in termini di posizioni. Il debito emergente quindi, sia in hard che in local currency, rappresenta il tema di dibattito dell’ultima parte della tavola rotonda, organizzata da Funds People, con i gestori obbligazionari delle più importanti realtà italiane del risparmio gestito.

Per Luca Franchi, responsabile gestioni obbligazionarie e valutarie di UBI Pramerica SGR, il debito emergente in valuta forte ha seguito i principali trend del mercato obbligazionario, senza tuttavia giungere a livelli molto alti di valutazioni riscontrati in altri settori. “Dal nostro punto di vista, non riteniamo tale asset class una delle maggiori fonti di valore in termini di spread offerto e, di conseguenza, la nostra preferenza si orienta sull’impiego di opzioni sulle valute emergenti, ambito in grado di offrire discrete opportunità per generare rendimento. Un esempio di tale strategia, è quello che abbiamo applicato nel corso degli ultimi anni al peso messicano e al rublo. In senso ampio, riteniamo che il mercato emergente sia pur sempre soggetto nel lungo periodo ad alcune fonti di rischio come, ad esempio, l’andamento del ciclo economico cinese”, sostiene il gestore.

Leggermente più scettico sull’asset class è Luca Felli, responsabile investimenti obbligazionari e valute di Anima SGR, che considera il debito emergente come una componente che ha goduto del favore degli investitori nel passato recente, e che potrebbe andare incontro ad un test da parte del mercato. “Periodi di politica monetaria meno accomodante non hanno mai favorito questi emittenti. In altre parole, vedo più rischi al ribasso che potenziale di crescita delle quotazioni, partendo dai livelli attuali. Se dovessi indicare una data sul calendario, il momento della verità potrebbe arrivare nel terzo trimestre del 2017. Da qui deriva, nei nostri portafogli, un posizionamento selettivo sulle obbligazioni emergenti”, spiega il fund manager.

Paolo Bernardelli, responsabile Fixed Income & FX di Eurizon Capital SGR, fa una distinzione tra i due rami del debito emergente, affermando che il mercato emergente in hard currency ha il vantaggio di vedere uno spread non a livelli così estremi come in altre asset class a spread. “Tuttavia, il debito emergente hard currency ha due grossi svantaggi: il primo è l’elevata duration dell’asset class, che lo rende molto sensibile ai movimenti dei rendimenti dei Treasury americani. Abbiamo visto quest’anno, fino a poche settimane fa, come, con spread praticamente stabili, il mercato emergente in hard currency abbia fatto molto bene, perché questo ha seguito il mercato americano, pur non mostrando particolari restringimenti di spread. L’altro grosso problema è che vi è un affollamento delle posizioni. Questa è infatti un’asset class dove sono entrati anche investitori non specializzati, e ora il timore è che molti di questi tendano ad uscire al primo segnale di problemi”, spiega il gestore.

Per quanto cocerne il mercato in valuta locale, per Bernardelli, questo ha invece il vantaggio di essere parzialmente slegato dall’andamento dei tassi americani, quindi potrebbe non soffrire troppo in una fase di salita di questi ultimi. “Inoltre, dal punto di vista dei fondamentali, molti Paesi emergenti evidenziano un’inflazione in forte calo. Questo fa sì che le politiche monetarie dei vari Paesi possano essere espansive e con le banche centrali che tendono ad abbassare i tassi. Bisogna comunque tenere presente la volatilità derivante dall’esposizione valutaria, che compensa i rendimenti generalmente elevati. In generale nei mercati emergenti in valuta locale siamo in una fase di discesa dei rendimenti a livello complessivo. È quindi molto importante la selezione tra i Paesi dove investire, infatti ci sono Paesi che presentano dinamiche completamente opposte in termini di inflazione, questioni politiche e problemi interni in generale. Quindi, è importante selezionare gli emittenti giusti”, conclude Bernardelli.

Da Ersel AM SGR, vedono il debito emergente come l’unico asset nell’universo obbligazionario in grado di offrire ancora qualche sacca di valore, pur essendo al momento molto popolato, preferendo in particolar modo la componente local, piuttosto che quella hard currency. “C’è stato sicuramente uno spostamento di molti investitori, che non erano tipici di questa componente obbligazionaria, verso quest’asset class, solo ed esclusivamente per motivi di carry, com’è successo sulla parte high yield; al netto di ciò, è chiaro che se dovesse esserci un pò di tensione sui prezzi, questa potrebbe rappresentare un problema. L’hard currency, a nostro modo di vedere, è abbastanza ‘fair priced’; c’è molta duration in questa componente in dollari, ed il movimento che ha fatto in questi ultimi mesi è soltanto a livello di tasso. Le potenzialità di restringimento degli spread sono abbastanza poche, per cui, tutto sommato, ci piace come le altre asset class, nella misura in cui sono inevitabili in un portafoglio diversificato”, spiega Carlo Bodo, responsabile dei programmi obbligazionari dell’SGR.

I motivi tali per cui da Ersel hanno una preferenza sulla componente local currency, sono dati dal fatto che questa non abbia recuperato tutto il terreno perduto negli anni precedenti e, in particolare, dalla grossa svalutazione che c’è stata a partire dal 2013, quando c’è stato il tapering della Fed. “Chiaramente, bisogna essere molto selettivi, e il prezzo del petrolio in discesa crea una divisione netta tra Paesi esportatori e Paesi importatori, che va sicuramente considerata. Con i prezzi del petrolio agli attuali livelli, ci sono dei Paesi che vivono situazioni di difficoltà, quindi se un investitore va a cercare quei Paesi ai margini degli indici emergenti, nelle loro divise, c’è ancora parecchio valore. Ci vuole comunque una grande diversificazione, e sicuramente gli emergenti in valuta locale non possono essere una componente importante di un portafoglio bond, perché hanno un profilo di rischio troppo alto”, afferma Bodo.

Al contrario, l’esposizone emergente di Euromobiliare AM SGR (Gruppo Credem) è solo su emissioni in hard currency, con finalità di diversificazione e senza eccessive aspettative in termini di performance. Secondo Paolo Gandolfi, responsabile gestioni collettive a benchmark della società, “la spread duration di questa componente è relativamente contenuta, con obiettivi alquanto prevalentemente in termini di carry, con l’intento di ridurre ulteriormente la duration, in fasi in cui i mercati sono particolarmente compiacenti rispetto alle aspettative di rialzo della Fed”, afferma il portfolio manager.

Per i gestori, quindi, il debito emergente è al momento caratterizzato da tanta liquidità, presenta un problema di affollamento delle posizioni, allo stesso modo dell’high yield, ed è un’asset class dalla quale non si può prescindere. Secondo Yuri Basile, responsabile del Comparto Obbligazionario di Aletti Gestielle SGR, è fondamentale un’accurata diversificazione ed essere quanto più selettivi possibile. “Per quanto riguarda le nostre preferenze tra il debito emergente local currency e valuta forte, queste sono asset class correlate, ma non si può comunque fare del ‘relative value’; nel senso che il debito hard currency risponde alle dinamiche del merito creditizio rispetto alla curva americana, mentre il debito local currency fa considerazioni riguardanti le politiche monetarie dei singoli Paesi, rischio valutario, politiche di emissioni. Per quanto ci riguarda, inseriamo sistematicamente posizioni legate all’hard currency nei prodotti diversificati, variandone il peso a seconda della valutazione del mercato o rispetto alle potenzialità degli altri segmenti dell’obbligazionario, e consideriamo invece la valuta locale solo quando ci sono delle opportunità in un determinato Paese, nonché possibilità di apprezzamento di quella valuta”, spiega il gestore.

Fabrizio Viola, senior portfolio manager sugli strumenti di credito investment grade di Generali Investments, afferma che dalla casa di gestione approcciano l’emergente solo con idee di generazione di alpha. “Per quanto riguarda le valute forti, le opportunità per generare extra rendimenti appetibili sono nulle sul lato dei bond denominati in dollari. Il rendimento al netto dei costi di copertura del rischio valutario è piuttosto limitato, e non consente vantaggi significativi rispetto ai bond governativi dei Paesi sviluppati. Per quanto riguarda invece i bond denominati in euro, ci piacciono la Croazia e la Bulgaria. La Croazia gira un pò più larga dei Btp, mentre la Bulgaria è leggermente più cara del governativo italiano, ma offre elementi di diversificazione. Diciamo che se un investitore vuole rimanere distante dal rischio Italia per qualche tempo, mantenendo pur sempre il carry, questi possono essere due Paesi su cui posizionarsi”, spiega Viola.

Infine, per quanto riguarda i bond emergenti in valuta locale, da Generali Investments ritengono che ci sia solo un trade da fare in questo momento, ovvero quello di andare a cercare quei Paesi che sono alla fine de loro processo di stretta monetaria (rialzo tassi) e che si apprestano ad affrontare un ciclo di tagli (easing). “A nostro parere, sarebbe quindi opportuno comprare bond in valuta locale a lunga duration di questi Paesi e coprire il rischio cambio, detenendo quindi un pacchetto che avrebbe un rendimento corrente pari a zero, ma che manterrebbe una duration elevata per beneficiare dei tagli tassi. Un Paese su cui questa combinazione dovrebbe funzionare bene è il Messico. Un altro trade che ci piace è la parte breve brasiliana, a tre e cinque anni, e con il real brasiliano coperto, per puro carry. Purtroppo questo è implementabile solo con i titoli governativi, mentre non funziona con i ‘supranational’, che scambiano a rendimenti molto al di sotto della curva governativa”, conclude il fund manager.