Gli alti tassi di interesse non preoccupano gli emergenti

Davide Maitland, Flickr, Creative Commons
Davide Maitland, Flickr, Creative Commons

Nel 2017, quali aspetti macroeconomici e politici prevarranno nei mercati emergenti? A questa domanda cercano di darci una risposta Xavier Hovasse, head of Emerging Equities e fund manager, e Charles Zerah, Fixed Income fund manager presso Carmignac, entrambi gestori del fondo con marchio Blockbuster Funds People Carmignac Portfolio Emerging Patrimoine.

Partendo dall’aspetto macro, Hovasse lo descrive, ad oggi, come molto positivo, nel senso che dando uno sguardo al ciclo di crescita globale, guidato dai mercati sviluppati, questo risulta molto forte. Il trend è positivo ovunque, e i miglioramenti del ciclo economico nei mercati emergenti mondiali, e, in particolar modo, in quelli dei Paesi esportatori di materie prime, fanno ben sperare, soprattutto in Cina, che è al top per quanto concerne la produzione di elettricità.

Guardando ai consumi e ai dati industriali, Hovasse nota che l’economia cinese prosegue per il verso giusto, e le prospettive di crescita del PIL brasiliano sono positive, come anche quelle del PIL russo. Secondo l’esperto, quindi, l’economia e la crescita sembrano essere abbastanza in salute.

La performance dell’indice azionario dei mercati emergenti (MSCI EM index), è altamente correlata con la crescita dell’MSCI EM earnings, spiegano gli esperti, che a sua volta è estremamente legata alle esportazioni dei mercati emergenti. Tali mercati hanno quindi performato bene, e parallelamente, anche gli esportatori manufatturieri e di materie prime stanno registrando i medesimi risultati. I fondamentali macroeconomici nei Paesi emergenti ad oggi sono migliorati.

Hovasse e Zerah, hanno identificato dodici periodi, negli ultimi venticinque anni, in cui vi sono stati i maggiori incrementi dei rendimenti statunitensi a dieci anni. Lo studio mostra che, undici volte su dodici, quando i rendimenti statunitensi a dieci anni aumentano, allora i mercati emergenti performano positivamente. Questo vuol dire che, negli Stati Uniti, quando i tassi di interesse aumentano, nella stragrande maggioranza dei casi questo risulta essere un fattore positivo per i mercati emergenti. Ciò significa che la crescita del PIL nominale negli USA è forte, e questo vuol dire che vi è una combinazione di forte crescita, e che quindi l’economia sta performando positivamente. Una maggiore inflazione è solitamente una conseguenza degli alti prezzi delle materie prime, che è assolutamente d’aiuto ai mercati emergenti. Quindi, secondo i gestori, ad oggi, gli alti tassi di interesse non sono una buona ragione per essere preoccupati nell’investire nei mercati emergenti.

Ma dove sono i rischi in questi mercati? Zerah afferma che le politiche statunitensi, e quindi le potenziali riforme protezioniste, sono il principale fattore di rischio per gli emergenti. A tal proposito gli esperti pensano che ad essere maggiormente penalizzato sarà il Messico, che non rappresenta sicuramente un problema per gli USA, a differenza invece della Cina. Il dragone infatti non è affatto immune al protezionismo dichiarato da Trump, dove la relazione con gli Stati Uniti sarà un aspetto molto importante nel 2017.

 

Come sono posizionati sul Carmignac Portfolio Emerging Patrimoine?

Il fondo è un bilanciato globale dei mercati emergenti, ha un patrimonio totale di circa 828 milioni di euro, ed è gestito con un processo di selezione molto specifico. In particolare, l’esposizione azionaria può arrivare fino al 50% del capitale investito. Al momento è del 46%, predilendo investimenti nell’equity asiatico, pari al 28% del patrimonio. Negli ultimi due mesi i gestori hanno aumentato la propria esposizione anche nell’azionario argentino e in quello brasiliano, pari al 10% totale, e all’8% in Europa, concentrandosi per lo più in Russia. I portfolio manager inoltre, considerano la duration modificata di strumenti a reddito fisso complessivamente tra -4 e +10, dove sono maggiormente focalizzati in America Latina, soprattutto in Brasile, Messico e Cile. Tuttavia, lo sono anche in Europa, specialmente in Russia e, in misura minore, anche in Asia.

Per quanto concerne le valute, effettuano anche in questo caso una forte selezione. Essi hanno infatti una significativa esposizione su euro e dollaro americano, rispettivamente pari al 18% e al 19%, come misura di protezione dal deprezzamento che potrà caratterizzare le valute emergenti nel futuro prossimo.

Con riferimento ai singoli Paesi, il comparto investe circa il 4% nell’equity indiano, nonostante l’alta volatilità che caratterizza questa categoria nel breve, vedendo comunque opportunità attraenti nel lungo periodo. Nonostante l’India registri al momento una lenta crescita, è comunque in una fase di miglioramento dei fondamentali della sua economia. Riguardo al Messico invece, l’esposizione è stata ridotta, poiché le prospettive per questo Paese non sono positive come lo erano in passato, in particolare, il peso è prossimo ad essere molto debole, e inoltre le elezioni presidenziali del prossimo giugno ne aumenteranno l’incertezza. Secondo i gestori, quello messicano è quindi un mercato meno attraente. Gli investimenti nell’azionario brasiliano sono invece pari al 3%, mentre pari al 15% sono quelli nel fixed income carioca. Un altro Paese che attrae Hovasse e Zerah è la Russia, principale beneficiario degli alti prezzi del petrolio, dove hanno infatti mantenuto l’esposizione per due motivi, il primo è il miglioramento della relazione tra Russia e USA in seguito alle elezioni di Donald Trump, e il secondo è l’apprezzamento del rublo russo. In particolare, investono il 13% in obbligazioni, il 2% in equity e l’11% in valuta russa.

I gestori, concludono riassumendo le principali caratteristiche del fondo, ovvero che è un portafoglio abbastanza bilanciato, focalizzato molto sull’obbligazionario inflation linked russo e brasiliano, visto che sono prodotti che presentano una bassa volatilità e una bassa inflazione, sull’obbligazionario corporate del settore energetico, e infine sull’azionario indiano. D’altra parte invece, per bilanciarlo, essi mantengono l’esposizione su euro e dollaro, assumendo contemporaneamente posizioni short nell’obbligazionario dei mercati sviluppati. Considerano il comparto molto flessibile, avendo un’esposizione azionaria totale tra lo 0% e il 50%, con un’attività tra il 10% e il 50%, mantenendo la duration modificata tra -4 e +10, prediligendo, negli  ultimi due anni, un basso beta nella costruzione del portafoglio, focalizzandosi sull’equity e sull’obbligazionario legato all’inflazione.