Commissione di performance dei fondi: cos’è, come funziona e perché si usa sempre di più

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Jeremy Lapak (Unsplash)

Un tempo i fondi applicavano solo commissioni fisse: c’erano sempre la commissione di gestione annuale e le spese di custodia e in certi casi venivano riscossi anche oneri di sottoscrizione o di rimborso. Non aveva importanza che i risultati del fondo fossero buoni, discreti o cattivi, perché l’investitore versava sempre la stessa quota alla società di gestione.

Ma sono sempre di più le società di gestione che, oltre alla commissione di gestione fissa, applicano anche una commissione legata ai risultati, chiamata commissione di performance. Questo onere viene riscosso solo quando il portfolio manager ottiene buoni risultati o quanto meno raggiunge gli obiettivi stabiliti per il prodotto che gestisce.

Cos’è la commissione di performance?

In pratica la commissione di performance è un onere di importo variabile che inizialmente era previsto solo per le strategie più sofisticate, come quelle basate sugli hedge fund, ma negli ultimi anni si è diffuso sempre più. Tanto che nel 2019 ben il 67% dei fondi domiciliati in Italia aveva una struttura di pricing che contemplava performance fee (dati Assogestioni).

In base al principio dell’incentivo, se un fondo non produce risultati soddisfacenti, o se applica il meccanismo dell’high-water mark, il cliente non deve pagare la commissione di performance. La normativa emanata da Banca d’Italia mira già ad allineare gli interessi di gestori e investitori.

Come funziona?

Ovviamente l’ideale è che gli interessi della società di gestione siano allineati a quelli dell’investitore, ma è importante distinguere tra le varie modalità di applicazione della commissione di performance, che possono finire per dare risultati ben diversi. Ad esempio, personalizzare la performance fee in base alla posizione specifica di ogni singolo investitore non è lo stesso che applicarla in modo indiscriminato a tutti gli investitori, che è l’opzione più diffusa in Italia. Ma almeno nel nostro Paese le commissioni di performance tendono a essere chiaramente indicate e di facile comprensione.

È una delle conclusioni tratte dall’ultima edizione dello studio globale sulle commissioni dei fondi che Morningstar pubblica con cadenza biennale. “In Italia i fondi sono autorizzati ad applicare commissioni di gestione con una componente asimmetrica di performance senza una corrispondente riduzione delle commissioni in caso di sottoperformance”, riporta lo studio. “Ma nella maggior parte dei casi possono essere applicate commissioni di incentivo solo se la performance è positiva e al tempo stesso superiore a quella di un dato benchmark, che spesso rappresenta solo un hurdle molto basso, come un indice del mercato monetario”.

Secondo la società di analisi, ad esempio, le commissioni di performance non sono l’ideale per gli investitori retail: sulla carta sembra che si paghi solo se il fondo guadagna terreno, ma in molti casi i dati tengono conto del rendimento lordo, e non rispetto al benchmark. Ciò significa che spesso l’investitore paga una commissione sui risultati positivi senza prendere in considerazione il fatto che abbia sovraperformato o no il suo indice di riferimento.

Inoltre, è importante cercare anche di capire quando e come si applica il cosiddetto high-water mark. La Banca d’Italia ha recepito gli Orientamenti ESMA in base ai quali la commissione di performance dovrebbe essere esigibile solo laddove, durante il periodo di riferimento della performance, il nuovo high-water mark supera l’ultimo. Inoltre, la frequenza di cristallizzazione della commissione di performance non può essere superiore a una volta all’anno. Si vuole così evitare che l’investitore paghi due volte per la stessa prestazione: infatti, se un fondo raggiunge un determinato livello e poi registra una flessione, l’investitore non dovrà pagare di nuovo la commissione quando il fondo risalirà al livello già toccato in precedenza.

Esiste un tetto massimo per la commissione di performance?

Sì: il Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio della Banca d’Italia stabilisce che venga fissato un limite percentuale che le commissioni complessive (commissioni di gestione e commissioni di performance) non possono superare (il cosiddetto fee cap).