I default degli high yield europei potrebbero salire al 5% nel 2025. Ma la situazione è davvero così cupa, o cela nuove opportunità? La risposta degli esperti riuniti alla tavola rotonda di FundsPeople.
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I default degli high yield europei potrebbero salire al 5% nel 2025. Ma la situazione è davvero così cupa, o cela nuove opportunità? La risposta degli esperti riuniti alla tavola rotonda di FundsPeople.
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I tassi di default delle obbligazioni high yield europee potrebbero raggiungere, nel 2025, il 5%: un livello mai visto sin dai tempi della crisi finanziaria del 2009-2010. È la fosca previsione con cui JP Morgan ha chiuso l’anno passato. Nel 2024, il tasso di default si era attestato al 3,3%, per un controvalore di 13,5 miliardi di euro su 14 emittenti societari insolventi. L’aumento previsto per il 2025 è dovuto a due soli casi che si trovano sotto osservazione speciale da parte degli operatori di mercato: Thames Water e Altice France, due dei più grandi emittenti high yield in Europa (o, più precisamente, in UK e Francia). Nel primo caso, evidenzia l’analisi di JP Morgan, il debito interessato da potenziali insolvenze potrebbe ammontare a 22 miliardi di euro, mentre nel secondo si parla di 24 miliardi di euro, raccolti prevalentemente sul continente. Ma la situazione è davvero così cupa per il mercato degli high yield europei, che oggi vale più di 340 miliardi di euro? Oppure, i due casi in questione non sono che l’ennesima dimostrazione di come sia necessario investire negli high yield con un approccio discriminante, basato su un’attenta analisi dei dati fondamentali? A queste e ad altre domande hanno risposto gli esperti riuniti alla tavola rotonda di FundsPeople. La terza parte della discussione si è concentrata proprio sul mercato degli high yield, tra timori di default, gestione del rischio, e ricerca delle opportunità.
I commenti si riferiscono al contesto del 23 gennaio 2025.
Alcune aziende di rating, come Fitch, prevedono tassi di default intorno al 5% per il credito high yield europeo. Il dato, però, incorpora alcune grandi emissioni che potrebbero essere ristrutturate o andare in default nel corso dell’anno, come Altice France e Thames Water. Lo evidenzia David Alty, head of Liquid research, Arcano Partners: “Al netto di queste grandi emissioni - commenta - il tasso reale di default potrebbe essere in linea con quello degli ultimi anni, compreso tra il 2,5% e il 3 per cento”. Investire in high yield richiede comunque un’analisi molto attenta. “Quando selezioniamo i fondi, il primo criterio che consideriamo è se abbiano alle spalle un team di analisti sufficientemente ampio per supportare un portafoglio ben diversificato”, spiega Alty. Arcano Partners cerca business difensivi, stabili, con utili prevedibili e pricing power. I settori più attraenti sono quelli difensivi, dalle telecomunicazioni alla sanità, sino ai servizi per i business. Senza tralasciare alcuni comparti ciclici, come i viaggi e l’intrattenimento, che godono di una forte domanda dopo il Covid. Una domanda ricorrente è quale impatto potranno avere le tariffe di Trump sugli emittenti high yield. “Il 65-70% delle vendite delle aziende in cui investiamo sono domestiche, con una domanda originaria dall’Europa. Le tariffe di Trump sono un problema relativo: interesseranno di più i comparti automotive, chimico, industriale, e altri ciclici. Siamo cauti sulla Germania, dove la crescita è debole”, conclude il responsabile.
1/4Monitorare i default è necessario, ma non deve essere l’unico focus per la gestione del rischio. Luigi Di Martino, asset specialist fondi e fund selector (rami I, III e VI) di Intesa Sanpaolo Assicurazioni, ritiene che sia più utile puntare su diversificazione e qualità. “Le previsioni sui mercati possono cambiare nel corso dell’anno, e quindi anche le analisi sui tassi di default potrebbero mostrare un’evoluzione, sebbene tali indicatori sembrino aver trovato un assestamento negli ultimi anni, grazie al consolidamento del mercato creditizio”, afferma l’esperto. Secondo Di Martino, gli operatori del mercato (tra cui i fondi di private debt) hanno comprato in massa titoli HY alla ricerca di rendimenti elevati: “Forse questo ha favorito anche società emittenti con fondamentali non così solidi. Il restringimento elevato degli spread potrebbe essere un segnale di allarme per possibili default”. Proprio l’universo high yield ha conosciuto una rapida evoluzione qualitativa negli ultimi anni. La fascia CCC si è ristretta e al tempo stesso molte società investment grade nei mesi post-Covid sono state declassate, migliorando così la qualità media del segmento. “In più ci sono state acquisizioni che hanno creato società più grandi e stabili, anche all’interno del mondo high yield; mentre gli emittenti più deboli sono già usciti dal segmento”, afferma Di Martino. Un consolidamento naturale, quindi, che permette di investire in titoli ad alto rendimento con più serenità rispetto a qualche anno fa, pur continuando a monitorare i rischi di default.
2/4Diversificazione e qualità sono quindi i due pilastri per investire con successo nel contesto attuale di mercato. Ne è convinto anche William Trevisan, gestore di portafoglio, Pharus Management Lux SA. “Quando un investitore si approccia a un’azienda - commenta -, che sia dal lato azionario o obbligazionario, la può anche studiare a fondo, ma non avrà mai la certezza al 100% che performi bene o che non sia soggetta a default. Il rischio, per definizione, è sempre ciò che emerge dopo aver previsto tutto il resto”. Che cosa fare, quindi, per gestire al meglio i rischi? La prima regola d’oro è diversificare. La seconda, è scegliere panieri di titoli di qualità. “Warren Buffett aveva descritto questo approccio da ‘buon padre di famiglia’ parlando dell’azionario. Noi cerchiamo di applicarlo anche sul credito”, spiega Trevisan. La preferenza va quindi a emittenti societari che siano leader di settore, con vantaggi competitivi chiari sui settori di riferimento, e bilanci solidi. “Ce ne sono molti, anche in Italia”, osserva il gestore. In questo tipo di approccio il tempismo è importante. “Sarebbe meglio comprare con coraggio nei momenti di forte crisi”, giudica l’esperto. Un esempio su tutti: nel 2008 i tassi di default erano al 12%, con un calo degli utili del 35%; una volta toccati i valori peggiori, hanno iniziato a migliorare. Oggi gli utili stanno salendo, mentre i default sono al 2%. “Quindi siamo all’estremo opposto. Bisognerebbe essere più cauti ora e più coraggiosi in condizioni di crisi”, conclude Trevisan.
3/4Per gestire il rischio default è necessario un approccio ben strutturato, in grado sia di valutare i fattori macroeconomici, sia di analizzare i dati fondamentali. È questo il parere di Alessandro Greppi, head of Unit linked and pension funds, Zurich. “Il nostro approccio alla gestione del rischio fa riferimento a diverse strutture del gruppo”, spiega il responsabile. Dal punto di vista top-down, un team di economisti studia il contesto macro per stabilire se sia favorevole o meno a un’esposizione sul segmento high yield. Dal punto di vista bottom-up, il gruppo conta su una squadra di analisti a Barcellona, specializzata in singoli titoli europei investment grade, e su un team di economisti a Zurigo con competenze anche su rating più bassi. “Unendo queste due anime, selezioniamo i nomi da inserire in portafoglio. Nelle gestioni separate, investiamo esclusivamente in single name; mentre usiamo i fondi per altre aree come la divisione unit-linked”, spiega Greppi. Per quanto riguarda il contesto dei default, l’outlook è positivo per l’Eurozona, dove il livello dovrebbe attestarsi al di sotto della mediana storica. “Molte società - afferma Greppi - hanno gestito proattivamente le scadenze e le banche hanno allentato gli standard di prestito. Al tempo stesso è aumentato l’accesso al private credit”. Tutto ciò ha permesso alle aziende high yield di rifinanziare il debito senza contraccolpi. Il 2025 sarà l’anno in cui molti titoli investment grade si avvicinano alla scadenza, “ma parliamo di emittenti solidi, quindi non vediamo grandi problemi”, conclude l’esperto.
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