Ursula von der Leyen ha messo sul piatto 750 miliardi di euro per la ripartenza. Seppur prevalga un certo ottimismo, emergono tensioni tra gli Stati membri e il processo decisionale potrebbe allungarsi fino all'estate. L'analisi degli asset manager internazionali.
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Entra nel vivo il dibattito sul piano di ripresa economica europea post Covid presentato da Ursula von der Leyen. Il Presidente della Commissione Europea ha messo sul piatto un recovery fund di 750 miliardi di Euro, ribattezzato Next Generation UE. La somma, che sarà ripartita tra il 2021 e il 2024, verrà raccolta sui mercati attraverso l’emissione di bond garantiti dalla tripla A dell’Unione Europea. Se dovesse entrare in vigore, sarebbe destinata ai Paesi colpiti attraverso 500 miliardi di grants a fondo perduto e 250 di finanziamenti. Secondo i modelli, il maggior beneficiario del piano sarebbe l’Italia, con poco più di 172 miliardi (circa 82 miliardi di aiuti e 90 di prestiti) seguito dalla Spagna con 140 miliardi (77 di aiuti e 63 prestiti) e dalla Polonia, quasi 64 miliardi (38 di aiuti e 26 prestiti). Ma all’interno dell’Unione pesano le resistenze di alcuni Stati, provenienti in particolare dal cosiddetto gruppo dei “frugali”: Paesi Bassi, Svezia, Austria e Danimarca, che hanno da sempre assunto posizioni ostili a stimoli fiscali a livello comunitario. Rispettivamente i quattro otterrebbero 6,7, 4,7, 4 e 2,1 miliardi (di soli aiuti). La Germania e la Francia, i Paesi attorno a cui è nata la prima proposta di un piano di ripresa da 500 miliardi, ampliato poi dalla proposta della Commissione Europea (CE), otterrebbero 28,8 miliardi (di solo aiuti) e 38,7 miliardi.
La strada verso l'accordo sarà dura
“I dibattiti più caldi si concentreranno sull'uso delle sovvenzioni, che non dovranno essere restituite, e su come ridurre l'impressione, che in alcuni Paesi, questo sia il prossimo passo verso la mutualizzazione del debito o addirittura verso un'unione fiscale”, avvisa Reto Cueni, senior economist di Vontobel AM. L’esperto è ottimista sul fatto che l’accordo si troverà, “ma c'è ancora un rischio sostanziale che paesi finanziariamente conservatori come i Paesi Bassi, l'Austria o la Svezia possano bloccarlo”, spiega. “La strada verso un accordo finale sarà dura e potrebbe spaventare i mercati”, avverte Cueni. Un fallimento delle trattive potrebbe addirittura avere un effetto boomerang devastante: “Un veto all'utilizzo di sovvenzioni dirette o alla vendita del debito emesso dalla CE rappresenterebbe un forte messaggio negativo per i mercati finanziari che qualsiasi ulteriore integrazione dell'UE e della zona euro è, almeno per anni, fuori discussione. Aumenterebbe inoltre la possibilità di un'ulteriore separazione del sud economicamente più debole dal più forte nord”, conclude.
Alain Durré e Sven Jari Stehn del team di ricerca economica di Goldman Sachs pongono l’enfasi su un aspetto non di poco conto: le tempistiche di attuazione del piano, che potrebbero nel mentre procurare forti tensioni interne all’Unione. “Il processo ufficiale di negoziazione inizierà con discussioni informali tra i governi fino alla prima discussione formale in seno all'Eurogruppo (11 giugno), seguita probabilmente da un vertice UE (18 e 19 giugno). Una volta raggiunto un accordo tra i 27 leader dell'UE, sarà necessaria l'approvazione formale del Parlamento europeo prima della ratifica da parte dei 27 parlamenti nazionali”, fanno notare. “Poiché sarà necessario un voto unanime, è molto probabile che il processo decisionale durerà fino all'estate. L’opposizione dei "frugali”, come quelle espresse da alcuni eurodeputati durante l'audizione del Presidente Von der Leyen al Parlamento europeo, evidenzia le potenziali tensioni tra gli Stati membri che ci attendono”, spiegano.
Il salvagente BCE
Nell’urgenza della crisi, a garantire la stabilità del sistema finanziario dell’UE rimane la BCE. “Solo il PEPP può sostenere gli Stati membri nel breve termine”, fa notare Didier Saint-Georges, membro del Comitato Strategico di Investimento di Carmignac, “Dal punto di vista economico, poiché le erogazioni saranno ripartite su quattro anni a partire dal 2021, non bisogna confondere questo recovery fund europeo con il sostegno necessario nel breve termine per superare l'attuale collasso economico di diversi Stati membri”, afferma. “Per questo, i singoli Paesi sono ancora per lo più autonomi e dipendono fortemente dal sostegno della BCE. L'estensione e l'aumento del PEPP, di cui dovremmo sapere di più la prossima settimana, rimane un elemento essenziale per permettere ai paesi di uscire dalla crisi”, conclude.