L’andamento di questa asset class sarà guidato dalle aspettative sulla politica monetaria statunitense e sulla crescita globale.
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Con l’aumento dei tassi d’interesse nei Paesi sviluppati, gli investitori hanno ricominciato a prediligere l’obbligazionario americano ed europeo rispetto a quello emergente. Come fa notare Anisha Goodly, managing director, Emerging Markets, TCW, il 2024 sarà un periodo di transizione verso un contesto più favorevole nel medio termine, per i mercati emergenti, “grazie a politiche monetarie più accomodanti nelle principali economie, alla potenziale debolezza del dollaro e alla rifocalizzazione delle grandi economie emergenti verso gli obiettivi di crescita potenziale e di inflazione”. I fondamentali degli emergenti, afferma l’esperta, “sono ragionevolmente solidi e non si prevedono default sovrani per il 2024”. Questo anche in ragione di un rapporto debito/PIL che nelle economie sviluppate supera il 100%, nei mercati emergenti si attesta al 67 per cento. “Inoltre – prosegue Goodly –, per la prima volta da un decennio a questa parte si prevede che gli upgrade dei rating superino i downgrade”.
La domanda che molti si fanno è: perché assumere rischio comprando titoli fuori dalle mura domestiche quando si possono avere rendimenti stando a casa propria?
iShares Emerging Markets Government Bond Index Fund
Fonte: Blackrock.
Oltre alle dinamiche legate al dollaro, il rimbalzo atteso della Cina, l’accelerazione dell’India, le criticità dell’equazione energetica, la deriva di bilancio degli Stati Uniti, possono condurre verso tematiche e aree geografiche alternative alle mega capitalizzazioni statunitensi del settore tecnologico in senso lato, contribuendo allo stesso tempo alle pressioni inflazionistiche. Secondo Frédéric Leroux, membro del comitato strategico d'investimento e responsabile del cross asset di Carmignac, la debolezza del dollaro indotta dalla deriva di bilancio statunitense “favorirebbe una rivalutazione in dollari dei titoli azionari non americani”. Dal punto di vista
Elliot Hentov, head of macro policy research di State Street Global Advisors e Rebecca Chesworth, senior equity strategist di SPDR ETFs bisogna ricordarsi che una vittoria repubblicana potrebbe tradursi in deficit fiscali più ampi, tassi più alti e un dollaro più forte, con il rischio di un rallentamento della crescita tendenziale: “Inoltre, la probabilità di un aumento dei dazi, in particolare sulle merci cinesi importate negli Stati Uniti, e il potenziale impatto a cascata sui prezzi fanno sì che l'aumento dell'inflazione torni ad essere un tema rilevante”.
Simone Obrizzo, portfolio manager di AcomeA SGR ricorda che rischi di spillover tra USA e Cina sono tanto maggiori quanto più è frammentata la catena del valore. “Tuttavia – afferma –, se osserviamo i due Paesi protagonisti vediamo che la Cina ha una forte dipendenza dagli Stati Uniti, evidenziando una forte asimmetria rispetto ad altri Paesi. Al contrario, gli Stati Uniti hanno una catena del valore più frammentata e meno dipendente da un singolo Paese”.