La Cina rallenta, dobbiamo preoccuparci?

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foto flickr: aaron goodman, creative commons

La Cina è entrata nell’anno del cane, chiudendo il 2017 con una crescita più che positiva. Il FTSE 50 China, che prende in considerazione sia le componenti dei titoli della Borsa di Shangai sia di quella di Shenzen, ha raggiunto i 13.305 punti. Nel 2017 l’indice ha registrato una performance del 32,9%. L’anno del cane però non è iniziato nel migliore dei modi, a febbraio l’indice cinese ha registrato una perdita dell’8,3%. È probabile che il capodanno inauguri un periodo di cambiamenti importanti in Cina: "i politici stanno cercando di trovare un equilibrio tra la necessità di grandi riforme economiche e l’esigenza di mantenere la crescita", afferma Charles Sunnucks, assistant fund manager emerging markets di Jupiter AM. "Con il cambiamento arriva la volatilità, e sarà più importante che mai distinguere tra le imprese che stanno beneficiando di un cambiamento positivo dei fondamentali e quelle che stanno semplicemente intercettando il trend favorevole che potrebbe poi esaurirsi".

Dall’ultimo anno del cane, il 2006, la Cina ha vissuto delle profonde trasformazioni rispetto agli altri mercati. A fine febbraio il Comitato centrale del Partito comunista cinese ha proposto la rimozione dalla Costituzione del limite dei due mandati consecutivi, rendendo potenzialmente Xi Jinping presidente a vita della repubblica popolare cinese. Tra le riforme in programma nel 2018 in Cina, ce ne sono due in particolare, sia sul lato dell’offerta sia quella finanziaria. La prima riguarda la riduzione della capacità produttiva cinese che da diversi anni è in surplus. “Alcuni settori produttivi cinesi hanno sofferto a causa di una produzione eccessiva rispetto alla domanda, compromettendo l'efficienza interna e provocando anche attriti a livello internazionale, dato che i produttori cinesi hanno riversato la produzione in eccesso sui mercati globali schiacciando i prezzi in termini generali”, commenta Charles Sunnucks. Tra le misure che si adotteranno per la riduzione della produzione, c’è ad esempio quella del settore siderurgico, per il quale la Cina ha deciso di ridurre la capacità produttiva di 150 milioni di tonnellate entro il 2020.

La seconda riforma riguarda le banche cinesi, le cosiddette “shadow banks”. Rinnovare il sistema bancario cinese però, non sarà per niente facile: “un elevato livello di controllo statale sui mercati finanziari cinesi ha incentivato i banchieri più esperti in Cina ad aggirare la regolamentazione in materia di credito […] e molte banche hanno un'esposizione agli 'investimenti' superiore a quella del portafoglio di prestiti. L'effetto è stato un positivo sostegno per la crescita degli asset, ma ha portato a un notevole rischio sistemico non pienamente riflesso nei dati ufficiali”, spiega Charles Sunnucks. Tuttavia, sebbene ci sia stato un rallentamento della recente crescita degli asset bancari, i livelli di debito del sistema sono ancora alti.

Anche secondo Degroof Petercam AM, l'economia della Cina si è attualmente stabilizzata, e sebbene le condizioni d’incertezza in materia di politica economica siano diminuite, nel 2018 la crescita rallenterà. Questo sarà dovuto a alla fine della ripresa economica trainata dal credito e del fatto che la politica monetaria è sempre rimasta piuttosto rigida. La Cina continua ad essere uno dei principali rischi per l'economia globale”, affermano dall'asset manager.