Indagine Moneyfarm in occasione del mese dell’educazione finanziaria. Il numero di nuove pensioni liquidate nel corso del 2023 supera di gran lunga quello delle nuove nascite. Assegno pensionistico: donne ancora indietro rispetto ai coetanei uomini.
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L’incidenza della spesa pensionistica sul PIL, oggi pari al 15,6%, è destinata a crescere fino al 17% nell’arco di 15 anni. È quanto rileva Moneyfarm che, in occasione del mese dell’educazione finanziaria, fa il punto sullo stato dell’arte del sistema pensionistico in Italia. La società di consulenza finanziaria con approccio digitale sottolinea come a determinare la crescita sia la crisi demografica: il numero di nuove pensioni liquidate nel corso del 2023, rilevano gli esperti, “supera di gran lunga quello delle nuove nascite, arrivate a segnare un altro record negativo (379.339 neonati vs 519.879 neopensionati)”. All’equazione si somma un altro elemento: secondo le stime di Moneyfarm, ad oggi soltanto un cittadino su quattro di età compresa tra i 30 e i 59 anni investe in previdenza integrativa.
Italiani e previdenza complementare
Dai dati emerge, infatti, che il 26% degli italiani nati tra il 1965 e il 1994 (circa 24,2 milioni di cittadini) ha sottoscritto un fondo pensione: il 41 per cento. Il restante 74% è occupato senza un fondo pensione oppure inoccupato. Della quota del 26%, una parte potrebbe peraltro essere contribuente "silente" (quasi il 28% degli iscritti non effettua alcun versamento, secondo la relazione annuale COVIP per il 2023). Anche l'uso del TFR per alimentare la previdenza integrativa è limitato: dal 2007 al 2023, soltanto il 22% di tutto il TFR maturato è stato destinato ai fondi pensione. ll resto è rimasto nelle aziende o nel Fondo di Tesoreria dell'INPS, che raccoglie il TFR delle aziende con più di 50 dipendenti. “Quando si parla di pensione si stanno pianificando oltre vent’anni della propria vita, un periodo non certo trascurabile in cui tre lavoratori su quattro dovranno basare il proprio benessere prevalentemente sulla previdenza di base, che rischia di non essere sufficiente”, commenta Andrea Rocchetti, global head of Investment Advisory di Moneyfarm, che sottolinea come sia proprio l’industria del risparmio a essere chiamata a svolgere un ruolo attivo di informazione e consulenza, “sottolineando l’importanza di agire subito sfruttando il fattore tempo, vantaggi come la deducibilità fiscale dei versamenti e anche l’opportunità di conferire il TFR in un fondo pensione”.
Chi aderisce alla previdenza complementare
Come confermato da molti studi, l’adesione alla previdenza complementare è maggiore tra gli uomini di età compresa tra i 40 e i 59 anni: il 33,5% contro il 21% delle coetanee donne. La situazione più critica, all’opposto, è quella delle donne fra i 30 e i 39 anni che mostrano un tasso di adesione del 17% contro il 27% dei coetanei uomini. Alla base di questo gap non soltanto un coinvolgimento ridotto delle lavoratrici giovani (27% vs 33%), ma soprattutto “il fatto che vi siano ben 17 punti di tasso di occupazione a separarle dai loro coetanei uomini”. Nel complesso, infatti, le donne tra i 30 e i 59 anni hanno un tasso di occupazione medio del 63% circa, contro l’83% degli uomini, un divario che non può non riflettersi anche sulla pensione integrativa.
Le statistiche indicano poi che, a partire dai 50 anni, il tasso di occupazione femminile continua a calare al crescere dell’età e arriva a sfiorare il 48% per le donne tra i 55 e i 64 anni (contro il 69% dei loro coetanei uomini). Spesso, dunque, pur potendo beneficiare del requisito di pensione anticipata inferiore di un anno (41 anni e 10 mesi vs 42 anni e 10 mesi per gli uomini), le donne non hanno la continuità lavorativa necessaria per accedere alla pensione per anzianità contributiva. Se poi si considera che l’età media di pensionamento (oggi 64,2 anni) è destinata a salire in futuro per via dell’aggiornamento dei requisiti pensionistici per l’aumento dell’attesa di vita, “la situazione appare ancora più critica per le lavoratrici che si sono da poco affacciate al mondo del lavoro”.
Tasso di sostituzione e gender gap
La ricerca indica, su questo punto, l’edizione 2023 dell’Osservatorio INPS sui lavoratori dipendenti del settore privato. Nonostante il “tasso di sostituzione netto”, cioè il rapporto tra la retribuzione pensionistica netta e l’ultima retribuzione netta da lavoro dipendente o autonomo, non sia significativamente diverso tra donne e uomini (dal 59%-65% in uno scenario prudenziale fino al 70-80% delle carriere più lunghe e continuative), alla luce di una retribuzione media annua degli uomini pari a 26.227 euro contro i 18.305 euro delle donne, la differenza in termini di assegno pensionistico è evidente. Secondo l’ultimo rapporto annuale dell’INPS di settembre, nel 2023 la pensione media era pari a 1.750 euro lordi per gli uomini e 1.069 euro lordi per le donne, ossia, rispettivamente, circa 1.430 e 947 euro netti.
I numeri di chi aderisce
A oggi, secondo le stime di Moneyfarm, i 6 milioni di lavoratori fra i 30 e i 59 anni che hanno già sottoscritto una qualche forma di previdenza integrativa versano una media di 2.004 euro annui, con valori compresi tra i 1.700 euro delle trentenni e i 2.700 euro dei cinquantenni. Considerando tale versamento medio fino all’età di 67 anni e un maturato medio stimabile in 20.250 euro, la rendita integrativa netta stimata che ci si può attendere da un fondo pensione bilanciato è di circa 295 euro al mese, con valori compresi tra i 231 euro delle cinquantenni e i 350 euro dei trentenni, fermo restando che la tempestività con cui si comincia a creare la propria pensione di scorta rappresenta una variabile chiave.