Il taglio del rating alla Cina è davvero preoccupante?

tazza cinese
Daniel Go, Flickr, Creative Commons

Per la prima volta dal 1989 Moody’s taglia il rating della Cina. L’agenzia americana ha ridotto il punteggio del debito a lungo termine del gigante asiatico da Aa3 ad A1, con una prospettiva stabile, considerando che nei prossimi anni assistiremo probabilmente ad un calo della forza finanziaria del Paese. Secondo Moody’s la Cina è alle prese con importanti sfide e le riforme messe in moto del governo di Xi Jimping non sembrano in grado di agire velocemente. Nello specifico, l’agenzia si riferisce al problema legato all’aumento dell’indebitamento del Paese e al rallentamento della crescita economica. Le riforme del governo potrebbero riuscire a stimolare l’economia, ma non risolvono il problema del debito che continuerà a crescere. Il debito pubblico infatti potrebbe raggiungere il 40% entro il 2018 e il 45% nel 2010.

Quali conseguenze comporta il taglio del rating della Cina? In realtà, secondo le società di gestione, quasi nessuna. Per Fullgoal AM, la società che opera esclusivamente sul mercato cinese e che per prima ha quotato un ETF sul mercato obbligazionario cinese in Borsa italiana un anno fa, “l’impatto del downgrade sarà molto limitato”. Anche soprattutto perché i principali investitiori nel mercato obbligazionario del Paese sono investitiori domestici. “Al contrario di quelli internazionali, gli investitori locali valutano il mercato obbligazionario domestico seguendo il proprio quadro analitico e alcuni parametri principali, come i fondamentali economici, il tasso d’inflazione e le politiche di regolamentazione, che sono variabili imprescindibili”, dicono gli esperti. “Invece di scendere, ieri il mercato obbligazionario ha chiuso in rialzo, confermando le nostre osservazioni”.

Secondo la società poi parliamo di “un caso unico, in cui c’è un conto capitale chiuso e un forte controllo governativo sulla maggior parte dei settori chiave. Questa caratteristica dà alla Cina un livello di tolleranza del debito più alto rispetto ad altri Paesi. Il declassamento di Moody’s arriva in contemporanea con i risultati sul primo trimestre dell’economia cinese, che mostrano un buon inizio, la regolamentazione del debito degli enti locali, l’eliminazione dell’eccesso di capacità produttiva dal lato dell’offerta e la riduzione del livello di indebitamento delle istituzioni finanziarie sotto la soglia di rischio”. Per questo l’outlook rimane ottimista. Tranquillità anche per Peter Rosenstreich, head of market strategy di Swissquote: “dal nostro punto di vista, la probabilità di un crollo verticale è minima in quanto il governo di Pechino mostra grande capacità di controllare il flusso dei capitali. Quello che non è chiaro è se le autorità cinesi abbiano davvero il sangue freddo per apportare ulteriori misure restrittive anche correndo il rischio di danneggiare un’economia ormai traballante”.

Per Charles de Quinsonas, vice gestore del M&G Emerging Markets Bond di M&G Investments il taglio potrebbe avere invece delle conseguenze importanti sulle aziende statali, visto che saranno guardate con più attenzione dagli investitori internazionali. Dato che la maggior parte di queste imprese ottiene molteplici innalzamenti del rating sulla base del fatto che il credito sovrano cinese è forte, il declassamento potrebbe portare sempre più gli investitori ad analizzare i fondamentali del credito delle singole aziende. “In generale, queste sono società fortemente indebitate e i loro singoli profili di credito sono piuttosto deboli. Nel frattempo, gli spread rimangono ristretti quindi o gli investitori locali continuano a non considerare i fondamentali del credito e gli spread continueranno a rimanere ridotti (prima possibilità), oppure (seconda possibilità) cominceranno a guardare ai fondamentali sulla base del più debole supporto al credito sovrano sopra menzionato, e quindi potrebbero pensare di non essere più sufficientemente pagati. Di conseguenza, c’è un rischio di ribasso sul mercato dei corporate bond cinesi”.