Immaginando un futuro senza QE

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Nine Köpfer, Unsplash

Manca poco più di una settimana alla prossima riunione della BCE e si fa sempre più concreta la possibilità che per l’occasione Mario Draghi annunci l’avvio del tapering per mettere gradualmente fine al quantitative easing, lo straordinario strumento che ha raggiunto quota 2,3 trilioni di euro e che ha ampliato il bilancio della Banca centrale a 4,9 trilioni (il 40% dei PIL dell’Eurozona). A dirsene convinti sono stati anche gli esperti che hanno preso parte al ‘XV Pan European Banking Meeting’ di Assiom Forex e che hanno discusso sui possibili scenari e impatti per investimenti e portafogli derivanti dalla transizione che porterà alla definizione di una nuova normalità post QE.

Secondo Luca Cazzulani, deputy head fixed income strategy di UniCredit Research, la rimozione dello stimolo monetario avrà maggiore impatto sulla duration ed un effetto rialzista sulla parte lunga della curva “in quanto l’ammontare di liquidità in eccesso è destinata ad aumentare e si estenderà alle scadenze più lunghe. Il movimento forse più probabile per la curva del 2018 dovrebbe essere di steepening”, spiega.

Per Fabio Massoli, head of finance di Cassa Depositi e Prestiti, non esiste un unico scenario di normalizzazione. “È chiaro che nel momento in cui ci dovesse essere un aumento della volatilità potremmo assistere ad un allargamento degli spread dei corporate bond poiché le condizioni erano tali per cui molte aziende in Italia hanno emesso obbligazioni a rendimenti inferiori rispetto a quelli dei titoli di Stato”, ha commentato l’esperto.

Meno rosea è la view di Fabrizio Fiorini, chief investment officer di Gestielle, che cita il calo della forza lavoro dovuto all’invecchiamento tra i motivi strutturali della mancanza di crescita economica “come ce la ricordavamo”. Secondo l’esperto, siamo di fronte a dei trend e non a dei cambiamenti, per cui bisognerà abituarsi a “nuove normalità dinamiche” diverse da quelle passate. Un fenomeno che, come spiega, “ci impone di cambiare la disamina dei mercati perché non si possono più estrapolare dati dal passato ma occorre individuare di volta in volta i nuovi driver. Interrompere il trend negativo e stabilizzarci su una crescita più bassa, non prendere più come riferimento il rapporto prezzo/utile ma l’equity risk premium”.

Sul fronte obbligazionario, Fiorini intravede molti più rischi che opportunità mentre vede il mercato azionario più positivo “perché l’inflazione favorisce la crescita degli utili, anche se l’obiettivo, a fine QE e con l’aumento della volatilità previsto, sarà quello di ridurre il rischio del portafoglio equity”, spiega. “Lo spazio di manovra”, continua l’esperto, “è legato al miglioramento della crescita economica e dell’inflazione. Dal 2018 occorrerà fare scelte anche in cash perché si sono già perse le correlazioni tra le varie asset class e diversificare semplicemente non sarà più sufficiente”.

Quale tapering?

Ad animare da tempo il dibattito sulle prossime mosse della BCE vi è anche la questione dei tempi e delle modalità del tapering. A tal proposito è intervenuto Stefano Masante, head of rates trading di Banca Imi  e co-responsabile della commissione mercato dei capitali di Assiom Forex, secondo cui “in caso di tapering veloce - che si concludesse nei primi sei mesi del 2018 - il mercato si troverà ad assorbire circa 65 miliardi di titoli governativi rispetto a flussi negativi per 210 miliardi nel 2017 e che ammontavano a 300 miliardi nel 2016. Qualora le riduzioni venissero, invece, spalmate su tutti i 12 mesi del 2018, la variazione dei flussi netti di offerta (10 mld) sarà comunque rilevante rispetto agli anni precedenti”.

Il passaggio del testimone

Un’altra questione ampiamente dibattuta riguarda l’entrata in vigore di nuovi strumenti (come Eurobond, Certificates, Stability bond, Safe bond) che andranno a sostituire il QE e che contemporaneamente sarebbero propedeutici a una maggiore integrazione fiscale dei Paesi dell’area euro. Ad avere maggiore probabilità di ottenere un consenso reale da parte dei governi sono soprattutto gli stability bond e i safe bond. Attraverso i primi, i Paesi trasferiscono alla UE una percentuale del loro PIL. Con la collateralizzazione di queste risorse un organismo dell’Eurozona emette debito che viene utilizzato per stabilizzare l’economia e gestire le crisi. I secondi (detti anche ESBies) equivarrebbero a bond tipo CBO emessi da organismo europeo e collateralizzati dai titoli di tutti i Paesi europei in proporzione al loro PIL.

Un modello, quest’ultimo, che presenta numerosi vantaggi: può sostituire i bond nazionali nei bilanci delle banche riequilibrando l’introduzione del risk weighting sui governativi, sopperire alla scarsità di safe asset europei tripla A, godere di un risk sharing limitato grazie alla doppia tranche e potrebbe, inoltre, servire da prova generale per l’introduzione degli Eurobond.