Inflazione, il mercato aspetta le mosse delle Banche centrali

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Zane Lee, Unsplash

L’inflazione si conferma il tema centrale della seconda metà dell’anno. Da un lato le pressioni sui prezzi alimentate dalla crisi energetica, dall’altro i timori legati alla supply chain. Un binomio che va a sommarsi ad altri segnali in arrivo dai mercati. Il dato generale sul rialzo dei prezzi al consumo, tuttavia, secondo i dati Eurostat, a settembre è in linea con le attese: +0,5% su base mensile e +3,4% su base annua. A spingere i punti oltre il target del 2% della Banca centrale europea, il prezzo dell’energia (incrementato del 17,6% su base annua) e i timori sulla supply chain che hanno comportato un rialzo dei prezzi di cibo, alcol e tabacco. L'inflazione core (al netto delle componenti volatili dunque), in Europa ha visto un incremento dello 0,4% su base mensile e dell'1,9% su base annua in crescita rispetto all’1,6% di agosto. La tendenza è evidente anche in Italia. Secondo i dati diffusi da Istat su settembre, l’indice nazionale dei prezzi al consumo registra un aumento del 2,5% su base annua.

COSA ARRIVA DA OLTREOCEANO

Anche Oltreoceano gli ultimi dati danno conto di un contesto “impegnativo”. “L’inflazione core continua a viaggiare al 4% e gli aumenti dei prezzi rimangono sostenuti su diversi settori, in primis quello degli alloggi, del cibo e dei servizi che crescono insieme agli articoli strozzati dal ‘collo di bottiglia’, come le auto usate. La domanda solida, gli aumenti nell’energia e le strozzature dell’offerta rendono sempre più debole l’argomento dell’inflazione transitoria”, sostiene il team strategie di credito globale di Algebris, che indica come anche la politica statunitense si stia ormai muovendo per ridurre gli effetti di questo andamento inflattivo, per cui “il tapering di novembre è ormai scontato”. I tassi front-end stanno salendo, e suggeriscono che “il mercato sta scontando più rialzi dei tassi. Man mano che i policymakers cederanno alla non transitorietà, il mercato seguirà, aprendo la strada a tassi più alti per più a lungo”.

LE ATTESE DELLE BANCHE CENTRALI

La Federal Reserve, come detto, negli ultimi mesi ha parlato di inflazione “transitoria”, e anche in Europa, la BCE si aspetta che i prezzi tornino a rallentare nel 2022. Tuttavia, secondo Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm, aleggia il dubbio che le Banche Centrali possano avere sottovalutato la portata del fenomeno. Flax fa un riferimento preciso al nostro dato domestico. “Se questa tendenza è evidente in Italia, lo stesso si può dire anche per le economie dove la ripresa economica e gli interventi pubblici a sostegno dell’economia sono stati più decisi, come gli Stati Uniti e il Regno Unito”.

UN’INFLAZIONE STRUTTURALE?

Secondo Moneyfarm, nonostante la possibilità che il fenomeno si inasprisca non arrivano indicazioni da parte delle banche centrali di una revisione (a breve) delle politiche monetarie. Un segnale potrebbe arrivare se il fenomeno diventasse strutturale. “Uno dei canali è il mercato del lavoro”, continua Flax. “La domanda di lavoro è piuttosto alta in questo momento un po’ ovunque e i datori di lavoro hanno spesso difficoltà a trovare candidati qualificati. Ciò ha portato i salari ad aumentare e una maggiore crescita dei salari è esattamente il tipo di cosa che può essere incorporata nelle aspettative di inflazione e spingere le Banche Centrali ad agire”. Un altro aspetto da tenere d’occhio, poi, è quello legato al costo delle materie prime.

Quali le conseguenze di questi aumenti per i mercati finanziari e, in ultima analisi, per il risparmio gestito? Moneyfarm, “almeno per ora” continua a “credere ai banchieri centrali”. Secondo Flax, questi ultimi “continueranno a sostenere che l’inflazione è transitoria, anche se potrebbero cominciare ad agire per non farla andare fuori controllo”, tuttavia si attende la rimozione dello stimolo “forse un po’ prima di quanto ci saremmo aspettati un paio di mesi fa”.

IL NODO STAGFLAZIONE

Nel suo outlook trimestrale, anche Plenisfer Investments conferma tre aree di interesse che potrebbero avere conseguenze sull’inflazione: il mercato del lavoro ancora rigido; catene di approvvigionamento globali che restano tese; e il rallentamento della Cina.  “I primi due fattori sono potenzialmente inflazionistici – scrive la società – mentre il terzo è di per sé stesso deflazionistico. Inoltre, l'aumento dei prezzi dell'energia a livello globale può alimentare il picco inflazionistico ancora per diversi mesi, prima che i problemi a livello di offerta possano essere risolti”. Sul fronte dei tassi, secondo gli esperti la riduzione marginale della domanda di titoli di stato da parte delle banche centrali, combinata con i fattori inflazionistici precedentemente menzionati, porterà probabilmente a un rialzo. Plenisfer cita anche i timori legati alla stagflazione “ma riteniamo che per ora si tratti di uno scenario di rischio e non dello scenario più probabile”. Alla luce di questo outlook, la società propende per una posizione di duration corta e un'esposizione agli asset positivamente correlati con i tassi d'interesse. “Continuiamo inoltre a privilegiare gli attivi con esposizione all'economia reale e ai real assets, oltre che posizioni sui temi ciclici, sia nelle azioni che nelle materie prime”.