Invesco tasta il polso agli investitori obbligazionari

barca peschereccio
Andrea Maria Cannata, Flickr, Creative Commons

Cosa seguirà al periodo di ‘nuova normalizzazione’ degli investimenti a reddito fisso, caratterizzato da bassi rendimenti, bassa inflazione e nuovi interventi delle Banche Centrali? È questa una delle principali domande che attanaglia molti investitori che se da un lato avvertono la fine della lunga marcia verso il basso dei rendimenti, dall’altra, rimangono incerti su quello che il futuro riserverà loro.

Secondo la prima edizione del Global Fixed Income Study condotto da Invesco, che ha coinvolto 79 professionisti tra specialisti obbligazionari e CIO tra Asia, EMEA e Nord America, più della metà (58%) degli investitori obbligazionari intervistati ritiene che l’economia globale sia sulla strada della ripresa ma non sulla via della normalizzazione a cui storicamente si assiste a seguito di una recessione economica.

L’indagine ha poi rilevato una serie di sfide che gli investitori dovranno affrontare e che avranno inevitabilmente effetto sui portafogli obbligazionari. Tra queste figurano:

  • l’invecchiamento della popolazione, che preoccupa soprattutto i fondi pensione a prestazione e a contribuzione definita (con i primi che risentono maggiormente di questo trend, e i secondi che sono ora costretti a soddisfare un numero crescente e diversificato di esigenze da chi si sta avvicinando alla pensione a chi invece ha appena iniziato la propria carriera);
  • la stretta della regolamentazione (Solvency II in Europa e Risk-Based Capital e C-Ross in Asia), che impone una maggiore trasparenza e una migliore gestione del rischio, è invece la nota dolente per le compagnie di assicurazione. Un elemento che si rivelerà particolarmente sfidante per le assicurazioni che dispongono di un ampio portafoglio garantito sono gli elevati rendimenti per assicurare il rispetto delle garanzie.
  • L’aumento dell’incertezza geopolitica. Nonostante gli eventi geopolitici non abbiano avuto fino ad ora un impatto rilevante, il 70% degli investitori ritiene che avranno un effetto nel corso dei prossimi tre anni rispetto all’attuale 55%.

Ampio utilizzo del credito alternative

Come si legge nel report dello studio, “il range di sottoclassi all’interno dell’obbligazionario è cresciuto in modo significativo nel corso degli ultimi decenni e ora include un’ampia gamma di investimenti diversificati”. Se da un lato gli asset di reddito fisso core continuano a giocare un ruolo fondamentale in molti portafogli obbligazionari, a guadagnare protagonismo tra gli investitori istituzionali sono gli strumenti di credito alternative che “offrono l’opportunità di diversificare i portafogli dai tradizionali fattori di rendimento, come tassi e durata, verso fattori alternativi quali illiquidità e abilità manageriali, nonchè di perseguire strategie di rendimento absolute-return non vincolate ai benchmark tradizionali”.

In media, gli investitori intervistati allocano il 19% dei loro portafogli obbligazionari sulle strategie di credito alternative (il Nord America spicca con un 26%). Ad avere maggiore esposizione al credito alternativo sono, di norma, gli investitori con più capitale a disposizione (AUM>$15bn) mentre i più piccoli (AUM<$15bn) non sono in grado di sfruttare le strategie di credito alternative nella stessa misura dei loro competitor più grandi.

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Cambiano le preferenze degli investitori

Ad emergere dallo studio è anche un cambiamento nelle preferenze degli investitori. Nel corso degli ultimi tre anni, questi ultimi hanno ridotto le posizioni sul reddito fisso core e aumentato l’allocazione ai portafogli di credito alternative, ma la maggioranza dei partecipanti al sondaggio (63%) si attende un ritorno al reddito fisso core nel corso dei prossimi tre anni, spostandosi principalmente dai portafogli azionari.

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La percezione di alcuni investitori riguardo a diverse sotto asset class di credito alternative (debito high yield, credito strutturato e, in misura minore, direct lending) è che queste siano oggi troppo costose. A frenarli è anche il timore che esse siano maggiormente esposte ad eventuali shock negativi dell’economia. “In un’ottica di crescita che vede l’economia globale avvicinarsi alla fine del ciclo economico, alcuni investitori hanno espresso la preoccupazione che il debito high yield e il credito strutturato potrebbero subire un impatto maggiore dalla prossima eventuale recessione”, si legge nel documento.

L'area del credito alternative percepita con maggior favore è, invece, quella del debito dei mercati emergenti. Attualmente gli intervistati allocano in media il 3%. Il 29% prevede di aumentare tale percentuale nei prossimi tre anni. Gli investitori ritengono che vi siano opportunità in questo settore grazie al miglioramento dei fondamentali economici, alla riduzione dei disavanzi delle partite correnti e al minore impatto diretto dell' aumento dei tassi di interesse negli Stati Uniti.