“Il problema della liquidità mi porta a trarre due conclusioni” osserva commenta Vivek Bommi, gestore obbligazionario di Alliance Bernstein. “La prima è che per investire in certi segmenti del reddito fisso è meglio operare tramite fondi. La seconda è che conviene anche cercare di anticipare il mercato. Ad esempio, nel 2009 il mercato HY ha guadagnato il 50% e l’IG il 25% e oltre la metà di questa performance è stata generata nell’arco di sei settimane. Pertanto, se un investitore decide di aspettare può perdere una buona parte della performance del mercato. Nel 2017 il settore high yield è salito del 12 o del 13%, e a sua volta ha registrato la metà di questo rialzo in sole sei settimane”. Inoltre, il gestore ritiene che Fed e Bce siano pronte: “Se pensiamo al marzo 2020, appena sono emersi problemi di liquidità sul mercato obbligazionario” argomenta, “la Fed ha annunciato un piano d’acquisto di ETF. Alla fine neanche un ETF è stato comprato, ma è bastata la notizia a risolvere in un solo giorno tutti i problemi di liquidità del mercato obbligazionario. Se la situazione si ripresentasse, la Fed saprebbe già cosa fare. Al limite, potremmo andare incontro a problemi di liquidità in senso opposto. I fondi comuni hanno ingenti quantitativi di liquidità disponibile. Siamo tutti d’accordo” prosegue Bommi, “che i clienti stanno tornando a investire nel reddito fisso, non solo in Europa, ma in tutto il mondo. Per ora procedono con cautela, ma a un certo punto torneranno in massa sul mercato obbligazionario. I gestori non possono mantenere elevati volumi di liquidità, devono impiegarli sul mercato, quindi si presenterà il problema opposto: gli spread scenderanno e i prezzi saliranno. Sappiamo tutti che i clienti vogliono tornare a investire in obbligazioni, e lo faranno, e secondo me, il primo segmento che tornerà alla ribalta è l’investment grade”. Secondo l’esperto, l’offerta di high yield europei è molto ridotta. “L’85% i questi titoli ha una scadenza a tre anni. Gli emittenti di questo segmento non avranno bisogno di tornare sul mercato nei prossimi tre anni, perché pagano cedole bassissime sulle obbligazioni in circolazione, e non ci sono operazioni di M&A in corso in questo comparto. Le società investment grade e le banche, invece, possono continuare a emettere debito. Il deterioramento dei fondamentali nel settore del credito, sia high yield che investment grade, è sostanzialmente già scontato dal mercato. Non mancheranno alcuni casi di insolvenza: oggi il tasso di default sull’high yield europeo è dello 0,4%, e anche se dovesse salire, secondo noi non supererà il 2-3 per cento. Nei prossimi 12 mesi” prosegue Bommi, “credo sia più opportuno assumere posizioni attive sul rischio di credito più che sulla duration. Sul mercato americano si prevede un calo dei tassi lungo tutta la curva verso la fine dell’anno prossimo (anche se nessuno sembra crederci davvero), e lo stesso vale per l’Europa; quindi magari si può guadagnare qualcosa puntando sulla duration, ma non più di tanto. Sul fronte della qualità del credito, invece, non è necessario scendere troppo lungo la scala dei rating per trovare investimenti validi. Ad esempio, ci sono banche con rating BBB, emissioni bancarie Tier 2 di qualità investment grade: titoli di alta qualità ad alto rendimento. Arriverà anche il momento di puntare sulla duration, probabilmente più avanti nel corso del prossimo anno, quando le banche centrali inizieranno a tagliare i tassi. Troviamo convenienti le obbligazioni bancarie subordinate” continua Bommi, “e ci sorprende vedere che vengono richiamati perfino alcuni titoli con basso reset. Operando con selettività si possono trovare buone opportunità. Un discorso simile vale per gli ibridi corporate. Ad esempio, alcune settimane fa una grande azienda ha richiamato un titolo che sei mesi fa quotava al 90% del valore nominale e l’ha sostituito con debito senior, pur non essendo costretta a farlo. I titoli di credito crossover invece mi sembrano più rischiosi di quanto si pensi e, sebbene entrambi i segmenti mi sembrino validi, preferisco i subordinati bancari a quelli corporate, le grandi banche europee che hanno registrato e continuano a registrare ingenti perdite, ma hanno comunque un elevato capitale in eccesso. Anche diverse banche italiane, come Intesa Sanpaolo e UniCredit, sono in gran forma, hanno risanato i loro bilanci e anche se devono assorbire un elevato livello di capitale non hanno necessariamente un’alta percentuale di prestiti a bilancio. Oggi la loro attività è molto più fee-based che asset-based”. Dal punto di vista geografico, Bommi preferisce guardare i numeri: “per gli investitori europei il rendimento dell’high yield in euro è di circa il 9% e quello dell’high yield USA è del 6%, a causa dei livelli molto elevati dei costi di copertura. Nonostante la situazione economica in Europa, la qualità del mercato HY europeo è di gran lunga superiore a quella del mercato americano. I titoli con rating BB rappresentano il 70% del mercato europeo, contro il 50% di quello statunitense; le obbligazioni CCC europee sono la metà di quelle americane. Pertanto, il mercato europeo appare ancora solido e offre valutazioni molto più elevate: quasi 300 punti base in termini di rendimento e un livello ancora più alto in base allo spread. Un quadro di crescita in rallentamento, dollaro forte e tassi in rialzo non è mai positivo per i mercati emergenti. Prima o poi alcune aree delle piazze emergenti saranno favorite, ma riteniamo che la differenza tra i rendimenti dei mercati emergenti e quelli dei mercati sviluppati sarà molto esigua”.
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