La selezione stessa presenta delle difficoltà oggettive legate alla mancanza di omogeneità rispetto agli standard di trasparenza. Come procedere per selezionare correttamente strumenti che puntano sul tema del cambiamento climatico? “Negli ultimi mesi le società hanno iniziato a differenziare la loro offerta e al tempo stesso gli investitori cominciano a capire le differenze tra strategie ESG generiche e strategie specifiche orientate al cambiamento climatico”, esordisce Gabriele Montalbetti, responsabile Ufficio investimenti di Consultinvest AM SGR. “Dal nostro punto di vista di fund selector è molto importante comprendere il processo di investimento, esaminando i criteri utilizzati per selezionare le singole società incluse nei portafogli e le definizioni di sostenibilità e di riduzione dell’impatto climatico adottate dalle società di gestione”, continua Montalbetti. “È anche importante evitare di scegliere fondi che abbiano una forte connotazione di stile, orientandosi verso fondi che perseguono obiettivi sia di mitigazione, che di adeguamento, e che adottano un approccio diversificato che includa opportunità sia growth che value. I fondi orientati al cambiamento climatico inoltre possono presentare caratteristiche simili ai tematici, ovvero possono essere concentrati in un numero limitato di titoli, a volte a medio bassa capitalizzazione, con il rischio di portare a valutazioni di mercato e multipli eccessivi. È per questo che, soprattutto in quest’area, preferiamo fondi attivi in cui il gestore può essere più rapido a evitare sacche di mercato sopravalutate e a identificare opportunità di mercato”, conclude il manager.
La sostenibilità, i criteri ESG e gli altri temi collegati “sono aspetti complessi e di carattere qualitativo, spesso facilmente misurabili, ma le cui implicazioni in termini di prezzo dei titoli sono ancora poco chiare”, rimarca Gabriele Montalbetti. Per il fund selector di Consultinvest AM SGR, “anche definire la tassonomia diventa un compito impegnativo: non a caso i tempi richiesti per completare le sei aree sono molto lunghi e saranno necessari molti compromessi (come ad esempio nel caso dell’energia nucleare). È comunque molto apprezzabile lo sforzo fatto dalla UE in questo senso, che si è dimostrata leader mondiale in questo campo. In seguito all’entrata in vigore dell’SFDR ogni asset manager deve presentare sul proprio sito la politica di sostenibilità adottata. Al momento in genere si tratta di dichiarazioni di alto livello perché sono difficili da articolare, e non certo per mancanza di volontà. Per questo l’investitore fa fatica a comprendere appieno il processo di investimento sostenibile di ogni società, anche perché all’interno di una stessa azienda, team di gestione diversi possono affrontare la sostenibilità in modo diverso. Con l’entrata in vigore degli RTS viene richiesto agli asset manager un grande sforzo di compliance, con un forte aumento dei costi per la produzione di documentazione, ma senza al momento grandi benefici per gli investitori in quanto i dati prodotti dalle società quotate sono ancora piuttosto limitati. È probabile che, come in altri casi, a tendere gli investitori si troveranno ad avere una grande quantità di informazioni difficilmente fruibili per fare scelte di investimento adeguate ai loro obiettivi, in quanto troppo numerose e scarsamente comprensibili. È sempre difficile trovare il giusto compromesso tra sintesi e rigorosità, ma lo è ancora di più per una materia, come la sostenibilità, per sua natura qualitativa”.
4/4