L'Italexit che non piace a gestori e investitori

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foto: Ben Terrett, Creative Commons, Flickr

Sussurata, gridata, sbandierata od occultata: uno dei temi principali nell’attuale situazione di stallo politico si chiama Italexit. La possibile uscita del Paese dalla moneta unica negli ultimi giorni è riapparsa più forte che mai (ne sanno qualcosa gli investitori stranieri). Ma cosa ne pensano gli esperti del risparmio gestito a riguardo? C’è davvero una questione euro alla base della fibrillazione dei mercati?

Probabilmente sarà difficile che i partiti populisti si scontrino sulla moneta unica (che gode ancora del sostegno della maggioranza dell'opinione pubblica), ma il genio è ormai è uscito dalla lampada e i mercati finanziari controlleranno da vicino il rischio. Lo sottolinea Silvia Dall’Angelo, senior economist di Hermes IM, secondo la quale la situazione italiana pone sfide non solo a livello nazionale ma anche europeo in generale. Da una parte, infatti, “il prossimo governo italiano dovrà trovare un insieme di politiche credibili per rispondere al malessere espresso dall'elettorato, ancora alle prese con una ripresa lenta e disomogenea dopo le due recessioni degli ultimi dieci anni”, dall’altra “i leader europei dovranno prendere più sul serio la minaccia populista e lavorare per rimediare alle carenze del progetto europeo, fornendo un sostegno politico e fiscale più forte alla moneta unica”.

Eppur vero che la questione europea è già da tempo al centro dei dibattiti di vari Paesi membri. Politica fiscale, moneta unica, regole economiche sono le chiavi di volta di un’architettura che scricchiola e che, come consiglia Tim Stevenson, director pan-european equites di Janus Henderson Investors, andrebbe in parte rivista. “Sarebbe d’aiuto se la Bce e chi detta le regole economiche europee riuscissero a persuadere la Germania a usare una linea più morbida con l’Italia (che necessita di aiuto su una serie di questioni che vanno dall’economia all’immigrazione)”, dice l’esperto, che poi preannuncia: “nel frattempo, gli investitori continueranno ad evitare di investire sull’azionario italiano. Sul valutario, probabilmente affronteremo un’altra crisi dell’euro, tuttavia non ci aspettiamo un crollo della moneta unica”.

Non a caso in questi giorni ETF Securities ha registrato un’impennata nel bene rifugio per eccellenza: l’oro. “Martedì 29 maggio abbiamo assistito a flussi consistenti negli ETP sull’oro – oltre 100 milioni di dollari americani – che hanno cancellato la maggior parte dei deflussi registrati nelle due settimane precedenti”, spiega Nitesh Shah, commodities strategist della società. Anche il manager si sofferma sulla possibilità di un voto sull’euro, che vedrebbe un innalzamento significativo dei prezzi dell’oro. “Dopo il voto con cui il Regno Unito ha deciso di abbandonare l’Unione europea, ad esempio, il posizionamento speculativo sui futures sull’oro ha toccato il livello più alto mai raggiunto. La minaccia di un’uscita dell’Italia dall’area euro potrebbe essere ben più caotica e destabilizzante”. L’oro insomma giocherebbe il ruolo di bene rifugio, ma per ora il mercato considera come poco probabile questo scenario.

Brexit, il precedente che fa giurisprudenza?

Tuttavia l’Europa ha già vissuto (e continua a viverlo) un precedente con il referendum del 2016 della Gran Bretagna. L’Italia, allora, forse potrebbe trarre una lezione dai costi della Brexit. “Dopo il voto sull’uscita dall’Ue, la Gran Bretagna è divenuta piuttosto problematica per gli investitori. I titoli obbligazionari offrono rendimenti insufficienti a compensare l'inflazione e i vantaggi della Brexit raccontati dagli euroscettici si rivelano del tutto illusori. Queste difficoltà convinceranno i più intransigenti ad allentare la presa su una hard Brexit”. È l’analisi di Guido Barthels, portfolio manager di Ethenea.

Secondo il gestore dalla vittoria del ‘leave’, il tasso di crescita dell’economia britannica è inferiore a quello della Germania e della Francia. Mentre la crescita è debole, i tassi d'inflazione hanno acquisito slancio, raggiungendo livelli che i funzionari della Banca centrale europea troverebbero preoccupanti. L'aumento dell'inflazione sembra dovuto alla debolezza della sterlina, che, in seguito all'esito del referendum, si è decisamente deprezzata rispetto all'euro e al dollaro. Da quando la valuta è tornata a recuperare parte del terreno perduto, i tassi d'inflazione sono tornati a scendere, ma potrebbe trattarsi di sviluppi meramente transitori.

“I titoli obbligazionari inglesi offrono rendimenti insufficienti, proprio come in Germania e in Francia. In termini reali, ci si può attendere perdite di valore anche nel segmento a dieci anni”, spiega Barthels. “Sebbene dal referendum sulla Brexit l'indice azionario britannico FTSE abbia messo a segno un apprezzabile progresso di +18%, la performance del DAX tedesco e del CAC francese è stata superiore di più del 4%”, spiega l’eperto. “Prima o poi le difficoltà della situazione convinceranno anche gli euroscettici più intransigenti, portando almeno all'approvazione di una normativa ai sensi di una Brexit relativamente soft: un'unione doganale il più possibile ampia e regole generose di libera circolazione per i cittadini Ue”, continua Barthels. “In tal caso, bisognerà chiedersi perché allora proseguire sulla strada dell'uscita dall'Ue”.