L’Italia dice “no”. Cosa accadrà adesso?

bandiera italiana
Enrico Santagati, Flickr, Creative Commons

Nell’era della post-verità, citata perfino da Matteo Renzi nel suo ultimo discorso da presidente in carica, anche Piazza Affari si adegua. Dopo un avvio emotivo in rosso, l’indice FTSE MIB (con una perdita del 2%) recupera terreno e cerca di raggiungere le altre Borse europee, che fin dall’apertura non sembrano aver mostrato segni di nervosismo, dopo la vittoria del no al referendum costituzionale.

Secondo gli analisti in realtà era già quasi tutto scontato: borse e spread tengono e sul mercato dei cambi, l’euro è in recupero nei confronti del dollaro, dopo aver toccato nella notte i minimi dal 2003 a quota 1,05. “Poteva andare peggio” commenta a caldo Alberto Foà, presidente di AcomeA SGR. Raggiunto al telefono da Funds People, il presidente della società di gestione non usa mezzi termini: “La vittoria del No non è una buona notizia. Adesso sarà difficile capire cosa succederà a livello politico. La paura sui mercati è reale e l’ncertezza aumenta. Se avesse vinto il Sì c’era già un percorso delineato. In questo caso si aprono diverse possibilità e non sappiamo quali saranno”.

Foà fa riferimento soprattutto ai titoli bancari: l'incognita dei mercati finanziari, sia azionari che obbligazionari, riguarderà in primo luogo le banche, a cominciare dalla fattibilità o meno delle ricapitalizzazioni del Monte dei Paschi di Siena, ma anche di Unicredit. I titoli dei due istituti hanno faticato a fare prezzo in avvio e hanno aperto gli scambi in netto calo, prima di recuperare in parte terreno. Non sono da meno anche le banche venete. “L’aumento del capitale di MPS è molto importante per i mercati. Se si verificasse una mozione di sfiducia, questo potrebbe estendersi a tutto il settore bancario, e in particolare ad Unicredit”.

In attesa di vedere che succede, la voglia di investire in Italia viene meno. “C’è sicuramente un atteggiamento più cauto da parte degli investitori internazionali. In realtà non erano già molto posizionati sull’Italia, non abbiamo visto grandi vendite. Oggi avranno poi meno voglia di comprare” conclude il presidente di AcomeA.

Secondo Luca Noto, portfolio manager obbligazionario di Anima SGR, l’esito del referendum è stato allo stesso tempo una conferma e una sorpresa. Se da un lato il mercato si aspettava la vittoria del no, dall’altra non immaginava un risultato così netto. Tuttavia, “la reazione a caldo è stata molto composta con lo spread leggeremente in rialzo, ma senza reazioni emotive visto che tutti gli investitori avevano già ridotto le loro posizioni. Resta il dubbio su come interpretare questo risultato elettorale, sia da un punto di vista politico che economico, ma lo capiremo solo nei prossimi giorni”. Della stessa opinione è Luigi Dompè, portfolio manager azionario di Anima.Per quanto riguarda le previsioni per settore, l’esperto prevede che “utility e banche saranno le più penalizzate, mentre i titoli più immuni e che continueranno a performare bene saranno quello industriale, energy e di lusso”.

Entrambi gli esperti mostrano comunque una certa tranquillità rispetto alle previsioni di (improbabilissime) derive politiche ed economiche delle quali si sta parlando, tra le altre cose, nelle ultime ore. “Il referendum non ha cambiato drasticamente uno scenario di fine legislatura al quale ci saremmo approcciati alla fine del 2017. Quando la politica si indebolisce, le istituzioni si appoggiano tra di loro, è normale, periodicamente ci sono eventi elettorali”, afferma Noto. “Adesso le priorità saranno la legge elettorale, quella di bilancio e la sistemazione definitiva delle problematicità del settore bancario italiano”. “È evidente che l’esito referendario complica la ricapitalizzazione delle banche”, aggiunge Dompè, “la cui realizzazione porterebbe a una riduzione delle percezioni di rischio nel mercato azionario nel suo complesso. È importante recuperare l’interesse degli investitori esteri verso il nostro mercato azionario”.

Attenti alla banche

Il capitolo banche preoccupa anche Pierluca Beltramelli, responsabile del comparto flessibili di Aletti Gestielle. “Dal punto di vista finanziario l’Italia stava procedendo alla ristrutturazione del settore bancario tramite anche aumenti di capitale che potrebbero subire un rallentamento. Con la vittoria del No la principale preoccupazione è quella che venga interrotto il processo di riforme strutturali che sono fondamentali per un Paese con un elevato debito”, spiega a Funds People. Ma l’esperto si mostra fiducioso rispetto alle attese di crescita. “Dal nostro punto di vista non abbiamo costruito i portafogli in base al risultato del referendum ma analizzando i dati fondamentali sia macro che micro. Riteniamo che le attuali valutazioni già scontino uno scenario negativo con invece un miglioramento in atto sia delle attese di crescita macro che in termini di crescita degli utili aziendali. I processi di ristrutturazione bancaria potranno subire un rallentamento ma saranno portati a termine. In questo modo le banche ristrutturate potranno sostenere il recupero economico tramite un aumento degli impieghi verso l’economia reale. Quindi, ad oggi, non riteniamo sia opportuno fare dei  cambiamenti all’interno dei portafogli”, conclude.

Da Pioneer Investments prevedono che la “le dimissioni di Renzi potrebbero fermare gli sforzi compiuti negli ultimi anni per stimolare l'economia italiana. Probabilmente vedremo anche una certa pressione sul settore bancario italiano. Se un governo è in rapida formazione, tali rischi potrebbero essere ben contenuti e potremmo vedere una continuazione del processo normativo con una sorta di coalizione di governo. Noi crediamo che questo scenario, che potrebbe potenzialmente portare indietro il dibattito break-up dell’euro, sia improbabile in quanto le parti hanno forti incentivi a formare una coalizione e completare la legge elettorale prima delle elezioni. Anche la corte costituzionale è probabile che richieda delle modifiche per rendere il sistema più proporzionale”, concludono gli esperti.

In attesa dell'appuntamento con la BCE

L’effetto negativo del referendum che si temeva con la vittoria del no è solo di passaggio in quanto il mercato si focalizza principalmente sull’appuntamento della BCE di giovedì 8 dicembre, riguardante le decisioni di politica monetaria e annuncio dei tassi di interesse, importante per capire fino a quanto si potrà mantenere una politica monetaria espansiva”, ha affermato Enrico Vaccari, portfolio manager di Consultinvest. “L’Italia dovrà affrontare un processo di ricapitalizzazione e ristrutturazione del sistema bancario con l’aiuto della Banca Centrale Europea e dell’UE. Al fine di uscire da una situazione di crescita lenta, è importante creare economie di scala e avviare un processo di ristrutturazione nel lungo periodo che somiglia a quelle che si verificò in Italia nel settore telefonico”, aggiunge.

Per Amundi ci sono due importanti aspetti che rendono questa votazione diversa da quelle che hanno visto il trionfo di Brexit e Trump: “la buona notizia è che, a differenza dei due precedenti cigni neri, il No è sempre stato il vincitore favorito in Italia, lasciando poco spazio per spiacevoli sorprese. La cattiva è che, a differenza degli Stati Uniti e nel Regno Unito, che hanno entrambi la propria valuta e una banca centrale indipendente per assorbire parte dello shock, l’Italia condivide la sua moneta e la banca centrale con i Paesi della zona Euro. Così la tensione sta salendo sui premi per il rischio dei mercati obbligazionari e azionari. Il differenziale di rendimento tra Italia e Germania ha raggiunto livelli molto elevati, equivalenti ad esempio a quelli registrati nel 2008 (ma senza raggiungere il picco del 2012). E allo stesso modo i titoli azionari italiani hanno sottoperformato di oltre il 20% nel corso del 2016 in vista del referendum", commentano dalla società.

Secondo Carlo Messina, CEO di Intesa Sanpaolo, "bisogna analizzare l’impatto dei risultati del referendum nell’economia reale. Il governo italiano ha bisogno di accelerare il processo di riforme, ed è chiaro che ha bisogno di continuare a farne, essendo anche un Paese con un debito pubblico significativo. In Europa, siamo su un giusto livello di regolamentazione bancaria. A mio parere la BCE ha svolto un buon lavoro in tal senso, e ridurre la regolamentazione potrebbe essere pericoloso in questo momento".