La BCE ridurrà il QE da gennaio 2018

Draghi
European Parliament, Flickr, Creative Commons

In linea con la trama di aspettative che si è andata tessendo nelle ultime settimane, la BCE ha annunciato che inizierà a tirare il freno del tapering con il nuovo anno. L’autorità monetaria, infatti, dimezzerà gli acquisti mensili di titoli portandoli da 60 a 30 miliardi di euro a partire da gennaio del 2018 e almeno fino a settembre “o anche oltre se necessario", si legge nel comunicato diffuso dall'istituto centrale, "e in ogni caso finché il Consiglio direttivo non riscontrerà un aggiustamento durevole dell’evoluzione dei prezzi, coerente con il proprio obiettivo di inflazione”. Una decisione che non è stata presa all'unanimità, come ha confermato lo stesso Draghi, visto che alcuni membri del board avrebbero voluto fissare una data certa per il termine degli acquisti.

Nella conferenza stampa svoltasi a margine della riunione della BCE il presidente Mario Draghi ha tenuto a precisare anche che l’entità sarà comunque pronta a incrementare nuovamente il programma in termini di entità e/o durata qualora “se le prospettive diverranno meno favorevoli o se le condizioni finanziarie risulteranno incoerenti con ulteriori progressi verso un aggiustamento durevole del profilo dell’inflazione”.

Parallelamente, l’Eurosistema reinvestirà il capitale rimborsato sui titoli in scadenza nel quadro del programma ampliato di acquisto di attività “per un periodo di tempo prolungato dopo la conclusione degli acquisti netti di attività e in ogni caso finché sarà necessario”. Rimangono invariati i tassi di interesse così come le operazioni di rifinanziamento principali e quelle a più lungo termine con scadenza a tre mesi “finché necessario e almeno sino al termine dell’ultimo periodo di mantenimento delle riserve del 2019”. A seguito dell'annuncio, le Borse europee hanno reagito positivamente, mentre l’euro è sceso a 1,18 dollari.

"Avanti ma adagio", come ha riassunto Andrea Delitala, head of investment advisory di Pictet Asset Management. Effettivamente, nel suo intervento decisamente bilanciato, Draghi ha più volte fatto riferimento al buon momento di crescita che sta attraversando l’Eurozona, alla forte ripresa ciclica – sostenuta dai dati macro positivi – e all’espansione economica in corso (che consentono, quindi, l’avvio del lungo cammino della normalizzazione della politica monetaria), ribadendo però la necessità di un processo graduale per supportare la ripresa e creare le pressioni inflazionistiche desiderate.  “L’adattamento del programma di acquisti riflette la crescente fiducia nella convergenza graduale del tasso di inflazione verso il nostro obiettivo”, ha detto il presidente della BCE.

Draghi ha anche sottolineato che adesso la principale fonte di rischio al ribasso non risiede nell’Eurozona ma viene dall’esterno (dal tasso di cambio) e ha motivato la decisione di mantenere gli stimoli proprio per sostenere tali condizioni favorevoli e per cercare di fare in modo che l’inflazione resti al 2% o leggermente al di sotto nell’area euro.

Prime reazioni

Non si sono fatte attendere le prime reazioni di gestori a analisti che hanno accolto l’annuncio dell’autorità monetaria senza grande sorpresa. “L’annuncio di Draghi è stato talmente in linea con le aspettative da risultare quasi deludente. Draghi si è lasciato aperta una via di sicurezza che gli permette di tornare a intervenire qualora i dati macro dell’Eurozona tornino a peggiorare", ha dichiarato Paul Hatfield, global chief investment officer di Alcentra (BNY Mellon IM). "Anche se i bund potrebbero beneficiare della decisione della BCE e l’euro potrebbe indebolirsi leggermente, non ci sono state sorprese di alcun tipo, pertanto ci aspettiamo che i mercati restino ai livelli attuali con movimenti limitati nel futuro prevedibile”.

Per Delitala “al di là dei dettagli, siamo al giro di boa della politica monetaria. Le circostanze eccezionali che avevano caratterizzato la grande recessione di origine finanziaria avevano reso indispensabile l’attivazione di politiche monetarie straordinarie. Ora l’emergenza è conclusa e il cortisone della liquidità non ha più necessità di essere somministrato”. Tuttavia, sottolinea l'esperto, rimane il problema di valutazioni: "A fronte di una crescita buona con una liquidità abbondante, bond ed equity si sono apprezzati entrambi. Agli indici azionari è bastato che fosse debellata la paura della recessione per raggiungere i massimi, mentre le obbligazioni sono state trainate dalla liquidità e dalla mancanza d’inflazione. Ed è stata proprio la liquidità a creare questa anomalia, presentandosi come un’arma a doppio taglio".

"Se lo scenario mondiale si normalizza e torna l’inflazione", spiega Delitala, "i bond sono a rischio e, se correggono troppo precipitosamente, possono provocare danni a cascata su tutte le asset class. Per dirla in altri termini, la correlazione anomala che ha portato anche quest’anno le valutazioni azionarie e obbligazionarie a correre insieme, potrebbe portare il prossimo anno a un contemporaneo crollo"

Da Franklin Templeton reputano corretto l'approccio prudente dell'istituto centrale. "La BCE ha già speso più di due trilioni di euro sugli acquisti di beni dal momento che ha intrapreso il suo programma QE nel marzo 2015", ha dichiarato David Zahn, head of European fixed income di Franklin Templeton Fixed Income Group. "Dato che la maggior parte del tapering accadrà nel mercato delle obbligazioni governativi, ci aspettiamo una certa volatilità nei rendimenti bond statali, in particolare nei mercati periferici per i prossimi mesi", ha aggiunto l'esperto. 

"Il momento positivo dei mercati è destinato a beneficiare sia dal supporto di politica monetaria che dalla crescita globale sincronizzata. Il restringimento degli spread di credito, sia sovrano che privato, evidenzia un continuo miglioramento del sentiment sui mercati finanziari globali. I portafogli con una predisposizione all’azionario, al high yield e ai mercati emergenti dovrebbero trarne grande beneficio", commenta Alessandro Tentori, chief investment officer AXA Investment Managers Italia.

Per quanto riguarda le previsioni su un primo rialzo dei tassi, David Simner, gestore di Fidelity International, ritiene che questo difficilmente avverrà prima del 2019 e aggiunge un’osservazione di tipo tecnico: “Anche se l’effetto dei flussi di cassa netti inciderà negativamente sul debito pubblico europeo, dato che gli acquisti mensili lordi si ridurranno, il reinvestimento delle prossime scadenze attenuerà tale effetto sul mercato”. La raccomandazione del gestore è che “gli investitori si muovano con cautela adesso che i mercati entrano in una nuova fase caratterizzata da un sostegno della Banche centrali minore di quello a cui sono stati abituati negli ultimi dieci anni”.

Secondo Tobias Schafföner, senior analyst di Flossbach von Storch, c'è un pezzo che non va a incastro nel puzzle della BCE, l'euro forte che "porta deflazione nell’Eurozona e allontana l’infazione attuale dall’obiettivo del 2% definito dalla Banca centrale per proteggere la stabilità dei prezzi”, ha detto l'analista.