La rivoluzione digitale ha pervaso diversi ambiti sociali ed economici, sino ad arrivare agli investimenti. Ma l'industria del risparmio gestito italiano è pronta? Ne discutiamo in una tavola rotonda con quattro CEO di SGR italiane.
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La rivoluzione digitale ha pervaso diversi ambiti sociali ed economici, tutto è ormai a portata di smartphone, dai sistemi di pagamento agli archivi della documentazione, sino ad arrivare agli investimenti. Ma l’industria dell’asset management è pronta ad accettarlo? Ne abbiamo discusso con quattro CEO di SGR italiane in una tavola rotonda virtuale sull'evoluzione business del risparmio gestito.
Il mercato del risparmio gestito italiano è intermediato dalle banche e la distribuzione è affidata alle reti, il modello “direct to consumer”, cioè di distribuzione diretta ha una penetrazione di circa l’1-2%. In Italia il modello dominante è B2B2C, cioè l’investitore si rivolge al distributore che, a sua volta, ha accesso ad una piattaforma di prodotti finanziari. Non sorprende che un tale processo si traduca in maggiori costi a carico del cliente. La situazione è, invece, totalmente capovolta negli Stati Uniti, dove il 70% delle masse è intermediato dalle grandi piattaforme.
Occhi puntati sulla data security
La tecnologia consente un accesso rapido e semplificato agli strumenti finanziari e ai servizi di consulenza, aprirà quindi la strada al fintech e a nuove piattaforme che consentiranno di rimodernare il vecchio business. Tuttavia, quando si parla di distribuzione, le cose si complicano, ed entrano in gioco diverse questioni. “La digitalizzazione non è solo un tema che afferisce alle economie di costo, ma riguarda anche la qualità del servizio che si riesce a prestare”, fa notare Stefano Giuliani, CEO di BancoPosta fondi SGR. “Alcune realtà in Italia necessitano investimenti importanti per supportare la rete di consulenti”, prosegue il manager. Tuttavia la principale criticità che riscontra da una forte digitalizzazione del settore è legata al problema della data security, “circa il 60% dei clienti seguiti da operatori digitali sono preoccupati per la protezione dei dati e di eventuali truffe”, spiega Giuliani. “La carta vincente per il futuro, sarà quindi investire sulla sicurezza dei dati”, conclude.
Il futuro è nei database
Semplificare la catena del valore distributivo è l’obiettivo dell’industria dell’asset management e in questo la tecnologia può aiutare. Permettere al cliente di sottoscrivere in forma libera attraverso una piattaforma autonoma sarebbe un gran passo avanti per il settore. D’altro canto, oltre ad un’interfaccia costumer experience godibile dal cliente, la digitalizzazione dei processi eviterebbe diversi passaggi ed elementi di rischio. Ma per il mercato italiano c’è ancora tanta strada da fare.
“La disruption in questo settore è avvenuta attraverso un modello di supporto tecnologico alla distribuzione, ovvero il robo-advisor”, ha affermato Emilio Franco, CEO di Mediobanca SGR. Un fenomeno che non è decollato, in primis per la centralità del ruolo del distributore nell’attività di consulenza e in secondo luogo per i costi medi di acquisizione. “Si stima che acquisire un cliente costi mediamente più di 1000 euro, un onere difficilmente ammortizzabile con i modesti ricavi prodotti dal target di clientela retail, data la ridotta dimensione dei portafogli”, spiega il manager. “Credo che specialmente in Italia il robo-advisor, usato con la finalità di distribuzione diretta, avrà vita difficile. L’opportunità sta nell’utilizzarlo come strumento da parte delle società che hanno già un importante database di clienti, appunto i distributori, in un modello B2B2C a supporto dell’attività di consulenza erogata dal gestore di relazione”, prosegue. La tecnologia avrà quindi più un ruolo di “enhancement” dei servizi di distribuzione.
“Alla luce del contesto di settore, per una SGR è più strategico utilizzare la tecnologia delle proprie reti e dei propri canali distributivi, anziché evolvere il canale diretto”, afferma Alessandro Marchesin, CEO di Sella SGR. “La tecnologia, piuttosto, deve essere utilizzata per la gestione dei dati, del portafoglio e del controllo del rischio a supporto del gestore. In quest’ottica elementi interessanti che saranno sfruttati nell’attività core, per esempio, sono l’intelligenza artificiale e il machine learning”.
“Un altro fattore rilevante, che segnerà la direzione del trend, è il passaggio generazionale, che trasferirà enormi quantità di ricchezza da una clientela più ‘familiare’ ad una più ‘digitale’”, osserva Gianluca Serafini, amministratore delegato e direttore generale di Fideuram AM SGR. “Tale scenario serve a procedere verso nuove innovazioni di prodotto, con l’obiettivo di offrire soluzioni che semplifichino la linea di trasmissione tra gestore e investitore e che concedano un avvicinamento forte e diretto del produttore ai clienti finali”, continua l’AD. Ne conseguono, però, limiti importanti legati ad una parziale o totale disintermediazione del distributore e quindi il venir meno dell’attività essenziale di consulenza finanziaria professionale, con i relativi rischi del cosiddetto “fai da te” del cliente.
Le opportunità
Negli Stati Uniti la digital distribution è un fenomeno ormai ben radicato, a confermarlo è Simone Rosti, responsabile di Vanguard Italia, che fa sapere, infatti, che dei circa 5.000 miliardi di dollari in gestione nella casa di investimento in USA (sui 7.000 miliardi in totale), la metà sono stati direttamente investiti da parte di investitori privati attraverso piattaforme dirette. “Quello che abbiamo sperimentato, è che non esiste un conflitto tra distributori e piattaforme digitali se il servizio e i prodotti offerti sono di qualità”, ha dichiarato il Country manager italiano. Sono due modelli di business che possono convivere tra loro, c’è chi fa da sè e chi ha bisogno di una consulenza da remoto, ma ciò non esclude la presenza di consulenti professionisti. Rosti ritiene che ci sia spazio per la digital distribution anche in Italia e che potrà essere intermediata dalle banche stesse o lasciata ad operatori indipendenti.