La Fed tira il freno a mano

YELLEN
International Monetary Fund, Flickr, Creative Commons

L’aspettativa del consenso, specialmente nelle ore che hanno preceduto la riunione del Federal Open Market Committee (FOMC) della Fed, era che Janet Yellen assumesse un tono più ortodosso senza però aumentare i tassi a giugno, cosa che l’autorità monetaria ha fatto, mantenendo il prezzo del denaro tra lo 0,25% e lo 0,5%. Continuano a sostenere che gli aumenti saranno graduali e che dipenderanno dalle condizioni economiche. Tuttavia, sono cambiate le aspettative della banca centrale sull’evoluzione dei tassi di interesse, punto in cui la Fed ha tirato il freno. Si conferma l’intenzione di applicare due rialzi quest’anno, meno di quanto previsto qualche mese fa, quando la maggior parte dei membri del FOMC proiettava tassi superiori all’1% alla fine del 2016. Adesso, sono una minoranza. Tra le ragioni che spiegano questa decisione ci sono dati occupazionali peggiori del previsto e quelli che la Fed chiama fattori esterni. In un primo momento si riferivano alle turbolenze della Cina mentre adesso riguardano il Regno Unito. In vista del referendum del 23 giugno sulla Brexit, la banca centrale non ha voluto agitare ulteriormente dei mercati già scossi di per sé.

Luke Bartholomew, gestore di Aberdeen, spiega che un rialzo dei tassi a giugno “è sempre stata una mossa possibile, vista l’incertezza rispetto al referendum nel Regno Unito, ma i dati sconcertanti sull’occupazione hanno impedito che si realizzasse”. Secondo il gestore, il tono della Fed è stato l’elemento decisivo dell’ultima riunione e mette in risalto il lavoro dietro le quinte della Yellen che “deve raggiungere un equilibrio complesso tra i membri hawkish del comitato, i falchi, quelli più aggressivi e ansiosi di fronte a un possibile rialzo, e i dovish, le colombe, più accomodanti e cauti”.

L’esperto di Aberdeen crede che l’evoluzione della disoccupazione e le condizioni esterne continueranno a limitare il raggio d’azione della Fed. “La Fed può notare dai pessimi salari che uno dei grandi problemi è la crescita degli stipendi che continua a essere deludente”, commenta da un lato. Dall’altro, sostiene che l’istituzione “è sempre più consapevole dei rischi esterni agli USA, mentre le condizioni finanziarie sembrano essere diventate estremamente sensibili ai cambiamenti delle previsioni nella politica della Fed”. “Le tensioni tra il mandato domestico della Fed e il suo desiderio di stabilizzare le condizioni internazionali possono diventare sempre più stressanti man mano che passa il tempo”, conclude.

“La debole creazione di posti di lavoro negli Stati Uniti promossa a maggio li ha colti alla sprovvista e adesso stanno mettendo in conto solo un rialzo dei tassi nei prossimi 12 mesi. La confusione ha contagiato i mercati, guidati dalla stessa Fed, che non dà adito a dubbi riguardo il rialzo dei tassi ma non dice, però, quando avverrà”, spiega Franck Dixmier, global head of fixed income di Allianz Global Investors. Dixmier interpreta il crollo della politica occupazionale come un segnale del fatto che il ciclo economico negli Stati Uniti sta avanzando. La previsione dell’esperto circa un unico rialzo di tassi nel 2016 si basa su due dati pubblicati nell’ultimo rapporto sul mercato del lavoro statunitense: la tassa di richieste iniziali di sussidi di disoccupazione è ai minimi dal 1970 (l’1,3% della popolazione USA in età lavorativa) e la mancanza di lavoratori altamente qualificati “che sta spostando l’equilibrio del potere dai datori di lavoro ai dipendenti”. Secondo l’esperto, il FOMC farà particolare attenzione a questi dati nel rivedere le proprie previsioni trimestrali di inflazione, crescita e proiezione dei tassi nei prossimi tre mesi dell’anno.

L’autorità monetaria non ha comunicato quando aumenterà i tassi, anche se ha lasciato aperta una possibilità a tal proposito durante la sua riunione di fine luglio, un dato che il mercato continua a vedere poco realizzabile. “La cosa più probabile è che ci sia un solo rialzo all’anno, vale a dire il minimo, in linea con una situazione di bassa crescita e lenta normalizzazione”, afferma Andrea Delitala, head of Investment Advisory per Pictet AM. In vista della prossima riunione, le aspettative degli investitori -  misurate dal mercato dei future – continuano a ritenere poco probabile un aumento nel prossimo mese. Tuttavia, secondo Ben Zimra, gestore di Edmond de Rothschild AM, potrebbero esserci delle sorprese. “Anche se i mercati non si aspettano nessun movimento da parte della Fed nella prossima riunione, il voto a favore della permanenza del Regno Unito nell’UE potrebbe spingere la Fed a un secondo rialzo dei tassi”.  

Anche Hervé Chatot, gestore di Cross Asset & Absolute Return di La Française, conferma questo punto di vista: “A nostro parere, gli ultimi dati sull’offerta di lavoro e la job rotation (JOLTS è l’acronimo inglese) indicano che la salute del mercato del lavoro è buona e potremmo essere solo dinanzi a un’anomalia. Detto questo, continuiamo a credere che un rialzo de tassi a luglio sia possibile e che i mercati stiano sottovalutando la concretezza di quest’eventualità, ma forse tutto dipenderà dai prossimi dati sui salari e dal risultato del referendum nel Regno Unito”.

Quella di Yves Longchamp, head of Research di Ethenea Independent Investors, invece, è una voce fuori dal coro. L’esperto sostiene che “ci sono tutte le condizioni per intraprendere il suddetto rialzo perché il livello di disoccupazione è compatibile con una situazione di piena occupazione e l’inflazione tende ad aumentare e si colloca sufficientemente vicino al target”.

Longchamp sottolinea, inoltre, che negli ultimi 25 anni “la Fed ha intrapreso un ciclo di rialzi nel giro di 12 mesi dall’inizio del calo della disoccupazione”, di conseguenza, secondo questo ragionamento, “la Fed avrebbe dovuto realizzare il primo rialzo di tassi prima del giugno del 2011, vale a dire cinque anni fa”. L’esperto aggiunge qualche sfumatura alla sua dichiarazione: “Con questo non vogliamo dire che la Fed ha preso la decisione sbagliata e che avrebbe dovuto aumentare i tassi molto tempo fa, soprattutto perché questo parametro non tiene conto della grandezza dell’ultima recessione. Ciò che vogliamo dire è che, considerata la dinamica della disoccupazione, il mercato del lavoro negli USA sta perdendo forza, il che conferma la nostra opinione che il ciclo economico degli Stati Uniti si trova nella sua fase più avanzata e che adesso è quando la Fed ha l’opportunità di aumentare i tassi perché forse questa condizione non durerà a lungo”.