La quarta parte della round table con i macroeconomisti tratta dei potenziali impatti di una politica protezionista del presidente americano Donald Trump.
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A seguito della riforma fiscale di Donald Trump, il mondo si interroga se il presidente rispetterà le promesse elettorali relative al protezionismo. Naturalmente sarà fondamentale capire l’intensità delle politiche e quali regioni interesseranno. Funds People ha riunito gli economisti di alcune principali case di gestione per approfondire gli scenari che potrebbero scatenarsi attorno a questo tema.
Prima di tutto bisogna considerare che, “negli ultimi anni abbiamo raggiunto il punto massimo di apertura del sistema internazionale e da un po’ di tempo stiamo registrando una riduzione della propensione all’apertura agli scambi commerciali da parte dei diversi Paesi”, commenta Oreste Auleta, responsabile wrapping & product management di Eurizon Capital SGR. “Negli Stati Uniti ci sono stati dei proclami su aspetti di politica protezionistica, dove alcuni sono diventati reali, e al momento l’effetto più tangibile è stato il deprezzamento del dollaro. A livello globale non abbiamo l’impressione di essere di fronte a un passaggio compatto e significativo”.
L’unico effetto misurabile è un dollaro che, a seguito delle minacce di protezionismo da parte del presidente, ha perso di valore: “Trump, come altri presidenti prima di lui, sostiene di volere il dollaro forte", osserva Luca Tobagi, investment director di Invesco.
Secondo Maria Paola Toschi, market strategist di J.P. Morgan AM, “le politiche di Trump sono abbastanza imprevedibili: sembra che ci sia un disegno che avanza in maniera un po’ confusa”. Ciò che il presidente vuole fare è adottare delle misure per creare forte impatto ma “i temi politici risultano difficili da prevedere, come ad esempio i futuri rapporti degli Stati Uniti con Cina e Giappone”.
Durante la sua campagna elettorale, Trump ha parlato alla pancia degli elettori degli Stati del sud rurale, ma “le misure che ha attuato finora sono volte a tutelare maggiormente gli interessi delle fasce più abbienti della popolazione”, fa notare Manuel Pozzi, investment director di M&G Investments. “Un aspetto da considerare è che l’intenzione annunciata dal presidente americano di porre dazi doganali su acciaio e alluminio potrebbe essere funzionale ad 'ammorbidire' Paesi come Messico e Canada nelle trattative per rivedere gli accordi di libero scambio nord americani”.
I possibili scenari
Alessandro Tentori, CIO di AXA IM, fa una prima distinzione: “il modello standard richiede un’analisi tra settori, che si possono scambiare o meno”. Se mettiamo delle restrizioni ai settori che possono essere scambiati, potremo andare incontro a due possibili effetti. “Il primo è inflazione da salari, perché bisogna mantenere rapporto di produttività-reddito tra settori interni all’economia. Il secondo un calo del PIL, perché il reddito dei settori che non possono essere scambiati non può essere aggiustato al reddito dei settori produttivi”. Gli Stati Uniti rappresentano ancora una sostanziale fetta del PIL mondiale, e queste implicazioni “potrebbero provocare un’impennata dell’inflazione a discapito della crescita”.
“Nei confronti della Cina, invece, il governo USA potrebbe mirare a 'proteggere' altri settori, come quello tecnologico, che inizia a sentire la crescente concorrenza cinese, che oggi esporta beni ad alto valore aggiunto per il 15% a livello globale”, fa notare Pozzi.
Se ci fosse un’attuazione di misure protezionistiche, questa potrebbe penalizzare beni e servizi provenienti da diversi Paesi. “Azioni di questo tipo sono volte a portare con sé misure compensative, ossia delle ritorsioni da parte di altri Stati. Questo solitamente è un male che danneggia, in termini assoluti, l’economia globale nel suo complesso, al di là dei vantaggi di breve termine di specifici settori in singoli Paesi”, osserva Tobagi. “Quello che spero è che Trump possa selezionare delle aree di mercato e di import-export che vadano ad avere un impatto più circoscritto possibile”.
Ultimo punto da considerare è che anche “altri player a livello globale, come i mercati asiatici, hanno cercato di approfittare ‘degli spazi lasciati liberi’ negli scambi internazionali. Se ci fosse un’escalation di misure protezioniste, ciò rappresenterebbe un problema per l’economia globale, anche se al momento crediamo ancora che tale spirale possa essere evitata”, conclude Auleta.