Mercati asiatici: passato, presente e futuro

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Passato

Vanessa Donegan, responsabile azionario asiatico, EMEA di Columbia Threadneedle Investments, in vista del suo pensionamento, tira le somme dopo i suoi 35 anni di esperienza nei mercati asiatici: “Negli ultimi 35 anni sono cambiate tante cose. Gli squilibri economici in Asia si sono ridotti e i motori strutturali di crescita si sono rafforzati, ma i mercati azionari della regione sono diventati più volatili, creando un contesto impegnativo per gli investitori con un'ottica di medio termine. Se ripenso al mio tempo sui mercati asiatici, posso dire che è stato caratterizzato dall'incertezza: la crisi finanziaria asiatica, l'influenza aviaria, la crisi finanziaria globale e oggi la minaccia di guerre commerciali. Il segreto è rimanere fedeli ai fondamentali del proprio processo, e il valore verrà fuori. Investire in Asia è come guidare una nave cisterna in acque agitate. Bisogna tenere i nervi saldi, restare calmi e andare avanti”.

In questo quadro rimangono validi alcuni principi d'investimento consolidati: nei periodi difficili è possibile trovare opportunità tramite un'attenta selezione dei titoli e l'analisi dell'interazione tra i fondamentali macro e micro. “I timori degli investitori sono spesso esagerati, e per quanto le buone aziende possano diventare sottovalutate nel breve periodo sulla scia di una correzione indiscriminata, è probabile che mettano a segno un rimbalzo non appena la situazione migliora”, spiega Donegan.

Presente

Con l'apprezzamento delle valute e l'aumento dei redditi in Cina e Singapore, è cresciuto anche il potere d'acquisto dei consumatori. “Oggi la situazione si è ribaltata e sono gli acquirenti asiatici a riversarsi in Occidente alla ricerca di occasioni, anche se i nostri centri commerciali impallidiscono rispetto ai loro 'mall' scintillanti e climatizzati dove l'esperienza dello shopping è arricchita da gigantesche aree di intrattenimento e ogni genere di ristoranti”, fa notare Donegan. “Oggi gli investitori prestano molta meno attenzione alle società esportatrici, che tendono ad essere prive di pricing power. Preferiscono invece investire nelle società che beneficiano della crescita strutturale associata all'espansione della classe media e agli investimenti in infrastrutture”.  

Futuro

Il quadro nei mercati emergenti è variegato, con la Cina e le principali economie asiatiche sotto pressione per le tensioni commerciali e il calo della domanda nel settore tecnologico. 

“Ci aspettiamo che il PIL cinese rallenti al 6,2% nel 2019, dal 6,6% del 2018”, commenta Keith Wade, chief economist & strategist di Schroders. “D’altro canto, pensiamo che la combinazione tra il picco dei tassi negli USA e l’avvio di politiche monetarie più restrittive altrove possa indebolire il dollaro nel 2019. Questo potrebbe rappresentare l’ancora di salvezza per gli emergenti. Nonostante l’escalation nelle guerre commerciali e le prospettive di una crescita globale più lenta non siano di buon auspicio, un biglietto verde più debole contribuirebbe ad allentare la pressione sui Paesi in via di sviluppo”. 

Jason Pidcock, gestore del fondo Jupiter Asia Pacific Income di Jupiter AM, spiega che, in vista del 2019, il suo team è focalizzato su tre elementi macroeconomici e di mercato: liquidità, solidità di bilancio e barriere all’entrata. 

Per quanto riguarda la liquidità, non bisogna darla per scontata; periodi di illiquidità possono in effetti verificarsi, in particolare in un momento in cui la Fed sta aumentando i tassi di interesse e il dollaro US sta resistendo molto bene contro le altre valute. “Di conseguenza, siamo disposti a pagare un premio per investire su titoli molto liquidi dato il rischio di esclusione per quelli meno liquidi”, spiega l’esperto.

La solidità di bilancio, invece, “costituisce un fattore essenziale per un fondo incentrato su alti dividendi come il nostro: non vogliamo che le società all’interno del portafoglio siano esposte a costi del credito più elevati”.

Infine, dobbiamo considerare il tema delle barriere all’ingresso nei mercati, in quanto il rendimento sul capitale investito dipende dalla quantità di capitale impiegato in qualsiasi settore e dalla domanda dei beni/servizi che si producono. Se viene impiegato troppo capitale a causa di una concorrenza agguerrita e/o di un facile accesso al costo del capitale, i ritorni diminuiranno. “Cerchiamo aziende che impiegano il capitale in modo rigoroso ed i cui settori di attività siano meno esposti al rischio di nuove ondate di concorrenza selvaggia”, conclude Pidcock.